Facebook Pixel
Milano 24-apr
34.271,12 0,00%
Nasdaq 24-apr
17.526,8 +0,32%
Dow Jones 24-apr
38.460,92 -0,11%
Londra 24-apr
8.040,38 0,00%
Francoforte 24-apr
18.088,7 0,00%

La recita

Tutti i dati statistici di fonte nazionale o internazionale, attestano che la crescita del PIL nel nostro Paese non si discosterà quest'anno ed il prossimo da un modestissimo +1%, ben al di sotto della media UE e pari a circa 1/3 della Germania. Il rapporto deficit-PIL pare non scenderà al di sotto del 6%, mentre il debito veleggia ormai in prossimità del 120% della produzione lorda.
Dal momento che il nostro Paese era uscito in modo meno traumatico di altri dalla fase più acuta della crisi, viene da pensare cosa sarebbe successo se così non fosse stato. Immaginiamo l'argomento forte che verrà contrapposto a questa nostra analisi: in Italia il tasso di disoccupazione è inferiore a quello di molti altri Stati dell'Unione Europea, quindi è vero che il sistema nel suo complesso ha retto meglio. Il dato ISTAT di agosto attesta che i senza lavoro sono scesi all'8,2% della popolazione attiva, un punto e mezzo circa in meno rispetto alla media europea. Prima la CGIA di Mestre e poi in modo ancora più autorevole la Banca d'Italia, hanno certificato che questo dato è pesantemente approssimato per difetto. E' infatti difficile conciliare, anche per lo statistico più ardito, la diminuzione del numero dei disoccupati con un saldo negativo o nullo relativo alla creazione netta di posti di lavoro. La questione è che molti aspiranti lavoratori sono talmente scoraggiati da rinunciare a cercare una occupazione "ufficiale", optando nel migliore dei casi per lavoretti occasionali quasi sempre in nero.

Come vanno poi considerati quegli oltre 600.000 cassintegrati il cui status andrà rifinanziato nei prossimi mesi, pena la fuoriuscita pressoché definita dal mercato del lavoro? Non poche imprese medio-grandi in crisi hanno già deciso di de-localizzare la produzione all'estero e quindi le chance di reintegro di questi lavoratori sono prossime allo zero, più o meno come la loro riallocazione in altre imprese.

Alla luce di queste considerazioni, è così "ansiogeno" o non piuttosto realistico, parlare di un tasso di disoccupazione reale prossimo all'11%? Come se non bastasse, la recente guerra sulle valute con una rivalutazione dell'euro, che al momento sembra inarrestabile, nel breve-medio termine penalizzerà ancora di più un'economia come la nostra che vive soprattutto di esportazioni, in una fase in cui il potere d'acquisto delle famiglie e quindi i consumi interni mostrano la corda.

Se questo è lo scenario a cui andremo incontro, e pare che sussistano pochi dubbi in proposito, una classe politica responsabile dovrebbe avere come unici temi in agenda quelli relativi all'emergenza economica. E' vero, non ci sono risorse (si è passati dal "ghe pensi mi" berlusconiano al "ghe minga i danee" tremontiano) ma una rimodulazione del carico fiscale a svantaggio delle rendite e dei grandi patrimoni ed a vantaggio del lavoro e delle imprese, una ripresa delle privatizzazioni avviate dal precedente esecutivo, l'adozione di misure per incentivare la concorrenza in alcuni settori chiave dei servizi, costituirebbero una prima risposta nel segno di quella politica del fare che troppe volte è stata declinata con farsi gli interessi propri.

Condividi
"
Altri Editoriali
```