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Chi vuol esser lieto sia...

Conosciamo l'obiezione: l'offerta di lavoro non incrocia la domanda, anche perché non vi è da parte delle giovani generazioni lo spirito di adattamento necessario ad affrontare ed accettare mansioni ed impieghi più umili. Osservazione vera solo in parte, che oltretutto andrebbe completata con una non eludibile premessa: quanto contribuisce il mondo della scuola alla formazione finalizzata all'inserimento nelle future attività lavorative e, in via preliminare, alla conoscenza per gli studenti delle reali necessità e capacità di assorbimento del mercato del lavoro in tutti i suoi settori e articolazioni? Invero poco o nulla e non sembra che la recente riforma universitaria, al di là delle asserite e tutte da verificare affermazioni sulla primazia del merito nella distribuzione delle risorse disponibili, apporti cambiamenti decisivi in questa direzione.

Assistiamo così al paradosso che alcune facoltà, dove da tempo gli accessi sono stati contingentati con l'introduzione del numero chiuso, nei prossimi anni avranno un numero di laureati del tutto insufficiente a coprire i posti di lavoro nel frattempo liberatisi per il conseguimento dell'età pensionabile degli attuali occupati, con la conseguenza che questi ultimi verranno probabilmente reinseriti con contratti di libera collaborazione.

La domanda che è lecito porsi, che i giovani hanno il diritto di porsi, è se esista e quale sia il "progetto paese" che la nostra classe dirigente ha in mente. I numeri, quasi tutti, testimoniano di un declino che ormai è non solo economico ma anche morale. Le eccellenze, e non sono poche, spesso non vengono riconosciute e sono più apprezzate all'estero che da noi. L'innovazione e la ricerca sono confinate in pochissimi contesti e le risorse pubbliche a supporto sono scarse e comunque insufficienti.

Il futuro sarà migliore? Se guardiamo a quello prossimo, non c'è da stare allegri. Tutte le volte che si sente parlare di crisi affrontata meglio degli altri, di conti messi in sicurezza, di assenza di rischi per i nostri titoli di debito, la reazione immediata e più spontanea è all'insegna del più abusato (e scurrile) gesto scaramantico. Sono bastate due giornate di speculazione un po' più cattiva del solito per far salire il nostro spread sul bund tedesco ad oltre 200 punti base; per il momento ci hanno preso le misure in attesa di vedere l'evoluzione della situazione politica, ma se l'annunciata crisi non dovesse trovare sbocchi in tempi rapidi, è certo che ci riproveranno con forza e mezzi ben maggiori.

Il declino è irreversibile? Assolutamente no, a condizione che al centro dell'agenda politica siano messe tre priorità: crescita economica, occupazione e moralità pubblica.
Mancano le risorse? In una situazione di emergenza servono misure adeguate, anche di finanza straordinaria, partendo da una redistribuzione del carico fiscale a favore del lavoro e a svantaggio delle rendite e dei grandi patrimoni.

Per certi versi la situazione attuale ricorda quella dei primi anni '90 ed una soluzione analoga probabilmente sarebbe gradita dai mercati e riscuoterebbe anche il consenso della maggioranza degli italiani. L'unica incognita risiede nelle risposte che daranno coloro ai quali i cittadini italiani hanno dato il mandato per occuparsi dei loro problemi: più che dei ribaltoni politici il timore è quello dei capitomboli personali ed è per questo motivo che il passo indietro difficilmente rientrerà nelle opzioni sul tappeto.

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