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La crescita? Più capitali di rischio e meno rendite

La ricetta del risanamento dei bilanci pubblici europei, ingobbiti per il sostegno dato ai sistemi bancari ed all'intero sistema economico, passerebbe ora per la deflazione interna: l'unica maniera idonea per sottrarsi alla speculazione dui titoli di Stato e per essere più competitivi. Occorrerebbe essere più poveri, avere meno pretese, abbandonare i privilegi dello stato sociale: quando guadagneremo abbastanza meno dei lavoratori tedeschi per ristabilire la convenienza ad investire da noi, tutto sarà riequilibrato. Per la crescita si favoleggiano i project bond: investimenti infrastrutturali faraonici, spesso di dubbia utilità, che danno luogo ad una nuova forma di rendita finanziaria.

Lo squilibrio di fondo, ancora non colmato, deriva dalla sostanziale equiparazione tra i proventi delle rendite e del trading sul mercato ed i profitti derivanti dagli impieghi nel capitale di rischio. Tornare indietro rispetto al modello della banca universale sembra una utopia, così come introdurre il divieto di proprietary trading sembra trovare ostacoli insormontabili, mentre i derivati sui tassi di interesse hanno assunto valori esorbitanti. E, con questi, le perdite non solo potenziali da parte delle istituzioni bancarie.

Piuttosto che tassare le transazioni finanziarie, con il rischio di allontanare i capitali verso altre piazze, occorre indirizzarli verso impieghi produttivi, defiscalizzando gli investimenti nel capitale di rischio, i profitti di impresa e le plusvalenze azionarie delle aziende quotate. Per la crescita servono più aziende in Borsa, più capitale azionario e meno rendite: solo così si abbatte la "dittatura degli spread".
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