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Dopo Usa ed Europa, ombre lunghe sulle banche cinesi

Mentre la stabilizzazione del sistema bancario europeo procede a rilento, in Cina si aggira lo spettro del default finanziario.

La cura è monetaria: in teoria, nel gold standard, il riequilibrio tra le economie reali avviene con un aumento dell'inflazione in quelle in attivo strutturale e con la deflazione in quelle in disavanzo. Se con artifici, come il "peg" tra yuan e dollaro oppure con l'introduzione dell'euro, si nascondono gli effetti immediati di uno squilibrio commerciale strutturale, non si fa altro che trasferirli al livello finanziario: i dollari guadagnati dai cinesi con le loro esportazioni, quando ritornano in America, hanno finanziato il debito federale; così, gli euro guadagnati dai tedeschi sono serviti per comprare il debito delle famiglie americane e per finanziare Grecia, Cipro e Spagna. Per non parlare degli acquisti dei titoli di Stato italiani, dei prestiti alle nostre banche e degli investimenti effettuati in tutti i Paesi dell'est e dei Balcani. I Paesi produttori di petrolio che hanno investito il loro surplus commerciale in dollari, comprando titoli quotati sulle piazze internazionali, hanno registrato vistose perdite quando c'è stato il crollo di Wall Street.

Ora sembra che tocchi alla Cina: il rallentamento dell'economia mondiale sta influendo sulla dinamica interna e potrebbe mettere a rischio anche la stabilità del suo sistema bancario. Il surplus commerciale cinese è stato infatti gestito creando un duplice circuito: i dollari sono stati ampiamente investiti dalla Banca del popolo cinese in titoli di Stato americani, ma il loro controvalore in yuan è stato consegnato agli esportatori per essere depositato in banca. La enorme quantità di moneta così immessa all'interno della Cina ha finanziato sempre nuovi impianti ed iniziative immobiliari. Come se non bastasse, nel corso degli ultimi anni si è creato un sistema bancario parallelo, nato per sfuggire al sistema di tassi di interesse stabiliti in via amministrativa (3% per i depositi e 6% per i prestiti, rispettivamente con un cap del 10% ed un floor del 70%): si basa su intermediari che prendono i soldi a prestito dal sistema bancario ufficiale per finanziare chi è in difficoltà ed ha bisogno assoluto di prestiti, disposto a pagare molto di più dei tassi ufficiali. Ora che l'economia cinese sta rallentando, le banche ufficiali temono di prestarsi il denaro l'una con l'altra.

Il riequilibrio in Cina tra domanda estera e domanda interna, necessario per riassorbire il surplus commerciale strutturale verso il resto del mondo, ha tardato troppo: anche in questo caso, ha finanziato altro debito. Che ora si allunghino le ombre sulla stabilità del suo sistema bancario, sarebbe solo la riprova dell'assunto.

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