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Tra intuizione e certezza

Femminicidio: basta a discriminazioni e violenze contro la donna "in quanto donna".

L’ennesimo caso di “femminicidio”, quello di Brescia, ci sta abituando all’uso consapevole di questo termine che è entrato in modo repentino nel sociale antropologico del nostro paese.

Assistiamo a numerosi dibattiti di natura politica e culturale che hanno portato ad un intensificarsi dell’azione di contrasto e di denuncia al “femminicidio”, nonché di approfondimento per un tema sicuramente drammatico e, purtroppo, sempre di attualità.

Il termine “femminicidio” è riferito alla violenza che viene usata dagli uomini ai danni delle donne in quanto appartenenti al genere femminile, ma anche dagli uomini contro le “loro” ex donne, considerate una “proprietà”, oramai persa e quindi non più rientrante nella loro disponibilità. Talune volte per una vera e propria sovrastruttura del “maschio” che considera la donna inferiore per definizione.

Il fenomeno nel corso degli anni è stato spesso sottovalutato, anche per una sorta di sterilizzazione lessicale da parte dell’informazione che, usando termini come “crimine passionale” definito spesso come “gesto di un folle”, riducono l’omicidio della donna, moglie o compagna che sia, quasi ad una sorta di “delitto d’onore”, oramai alienato dal nostro ordinamento penale dal 1981. Nei fatti criminosi persiste poi la tendenza a salvaguardare l’immagine del “femminicida”, a deresponsabilizzare il suo intento criminoso, sublimandolo come “passionale”, cioè commesso istintivamente per un temporaneo abbandono della ragione.

Ma il femminicidio non può essere ridotto nell’alveo del “troppo amore”, commesso nei confronti di donne che, nella logica dei loro carnefici, hanno trasgredito al ruolo imposto dalla tradizione e dalle convenzioni. Nulla hanno a che vedere con il più intimo concetto di amore. Si tratta di una vera e propria tragedia di dimensioni nazionali, tant’è che nessuna regione del nostro paese sembra essere esclusa. Investe tutti gli ambienti sociali, dal più ricco al più povero, nessuno escluso.

Non è sufficiente la repressione per combattere questo fenomeno. Si devono attivare politiche di prevenzione a partire dalle scuole, che formano gli uomini e le donne del futuro; insegnando l’interazione e il rispetto tra uomo e donna e l’introduzione ad un rapporto virtuoso e tutto ciò che contribuisca a velocizzare un cambiamento di mentalità. Perché troppo poco e troppo lentamente è stato fatto fino ad ora per arginare questo tipo di violenza, che colpisce e annulla la donna nella sua dimensione psicologica e sociale, oltreché umiliare la condizione umana.

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