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Perché non mi provocheRAI...

La minaccia di scioperare è stata una reazione pavloviana alla provocazione del Governo di non versarle ben 120 milioni di canone già pagato dai cittadini

Considerazioni.

In primo luogo, l'Azienda era obbligata per legge a tenere una sede in ciascuna Regione, e ciò per garantire il funzionamento del servizio informativo regionale che è alla base di RAI 3. Come si possa fare in futuro informazione regionale senza avere una sede in ciascuna Regione è un mistero, ma non spetta qui sciogliere la evidente contraddizione logica e funzionale tra l'obbligo di svolgere un servizio informativo a livello regionale, che permane comunque intatto, ed il venir meno dell'obbligo ad avere una struttura in ciascuna regione. Questa doveva essere la prima contestazione, basata sulla logica.

In secondo luogo, nel decreto-legge si prevede che nel 2014 lo Stato non "riversi" alla RAI 150 milioni di euro già incassati attraverso il pagamento all'Erario da parte dei cittadini del canone di abbonamento alle radioaudizioni. Si può ritenere che il mancato versamento derivi dalla stima dei minori costi che deriverebbero alla RAI dal venir meno dell'obbligo ad avere sedi in tutte le Regioni. Se ciò sia vero o meno, o che si tratta solo di una maniera per obbligare la RAI a ridurre i propri costi di esercizio, non importa affatto. Il fatto è che i cittadini hanno pagato per legge un canone commisurato ai costi previsti dalla RAI per il 2014 e che lo Stato effettua la riscossione del canone in quanto ha natura tributaria attraverso l'U.R.A.R. (Ufficio Riscossione Abbonamenti Radiotelevisivi), e che pertanto deve riversarlo integralmente alla RAI. Trattenerlo, o peggio destinarlo alla copertura di una quota dei costi derivanti dal credito di imposta per mettere 80 euro in busta paga è un abuso. Si tratta di una disposizione costituzionalmente illegittima: lo Stato può imporre una riduzione dei costi del servizio pubblico televisivo, ma deve restituire la differenza ai cittadini che hanno già pagato un canone superiore commisurato ai maggiori: non può, a nessun titolo, né intascarli né usarli diversamente. Questa era la seconda obiezione che doveva essere mossa al decreto: se ci sono sprechi, e lo Stato vuole che la RAI risparmi, il risparmio deve tornare nelle tasche dei cittadini.

In terzo luogo, si è data la stura a tutto il consueto arsenale "anti- RAI ". C'è la questione del personale, che alla RAI sarebbe numericamente e come costo di molto superiore a quello di Mediaset o di Sky: ovvio, perché l'una e l'altra comprano programmi già fatti. Sky, per dirne una, diffonde National Geographic, ma non ha un solo giornalista che faccia l'inviato in giro per il mondo. C'è poi la questione dell'affollamento pubblicitario, che per la RAI è inferiore rispetto a tutti i concorrenti: il canone copre il mancato introito pubblicitario per la RAI, a parità di ore di trasmissione. Il mercato pubblicitario è quello che è: non ci sono ricavi per altri gruppi. Anche per la pay-tv, oltre a Sky, di spazio non ce n'è. Dietro gli sprechi, veri e presunti, c'è una politica che si pavoneggia di fronte ai cittadini mentre i soliti gruppi editoriali non vedono l'ora di comprarla.

Una reazione pavloviana, dunque, ha messo la RAI all'angolo. La provocazione è riuscita in pieno. Ma ai cittadini che hanno pagato il canone basta mandare una lettera per chiedere il rimborso della differenza... non mi provocheRAI!
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