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Renzi al Parlamento Europeo

Al Parlamento europeo, Renzi ha detto che bisogna guardare al futuro.

Renzi si è vantato di rappresentare un partito che nelle recenti elezioni europee ha raccolto il 40,8% dei voti. Poteva risparmiarsi la citazione visto che l'Italia tutta ha solo il 10% dei seggi del Parlamento Europeo e che né il partito socialista europeo né quello popolare hanno da soli la maggioranza e, quindi, sono costretti a fare una grande coalizione. Renzi non è il premier dell'Unione europea. In fatto, non è stato eletto nel Parlamento Europeo né al Parlamento italiano. È un Presidente del consiglio dei ministri nominato dal Presidente della Repubblica. Anche lui ha un problema di legittimazione democratica da risolvere. Ma al di là di questo problema, dobbiamo sapere che il suo discorso al Parlamento Europeo è una mera formalità di comunicazione istituzionale. Lui, come i suoi predecessori, arriva alla Presidenza dell'UE per un semestre per effetto di un meccanismo di turnazione. In fatto e in diritto, il Presidente di turno ha limitate funzioni di rappresentanza esterna e scarse possibilità di incidere sulla definizione dell'o.d.g. della Commissione e del Consiglio europeo dove siedono i capi di governo. Si tenga conto che preposto a questo compito c'è il Presidente del Consiglio europeo che, in realtà, svolge la funzione di Segretario del medesimo Consiglio.

In questo semestre, il premier italiano come membro del Consiglio europeo avrà il vantaggio di indossare anche il cappello della rappresentanza di tutti i paesi membri dell'Unione ma, per altro verso, questo annacqua il suo ruolo perché i nostri specifici problemi sono interni all'Eurozona. Come detto, la Presidenza semestrale è soprattutto una carica di rappresentanza esterna e conta quel che conta. Purtroppo in questo II semestre 2014 conta meno di quanto conti normalmente perché il primo è stato una sorta di semestre bianco per via delle elezioni di maggio, ed il II sarà occupato per lo più dai problemi di scelta e nomina dei rappresentanti stabili degli organi istituzionali.
Nelle settimane scorse abbiamo visto con quale solerzia i capi di governo si sono adoperati per mettere il loro suggello alla designazione del Presidente della Commissione. La designazione di Junker, paradossalmente, esce rafforzata dall'esplicito dissenso dell'Inghilterra. La scelta deve essere ora approvata dal Parlamento Europeo e poi bisognerà procedere alla scelta dei componenti della Commissione e dei relativi incarichi, dell'Alto rappresentante per la politica estera e, infine, del Presidente del Consiglio europeo. Definire il mosaico delle nomine e delle funzioni con equilibri accettabili anche a maggioranza, è compito complesso e lungo che consumerà la maggior parte del semestre.
Ho avuto modo di definire il 2014 un “anno a perdere” rispetto alle emergenze europee, intanto perché le prospettive finanziarie 2014-20 sono state definite a fine 2013 e non consentono variazioni significative quanto alle risorse. In secondo luogo, ove maturasse un programma di revisione al margine dei Trattati intergovernativi, questo richiederà tempi comunque lunghi.

Renzi dovrà rendersi conto della incongruenza tra la sua propensione decisionista e la lentezza e farraginosità del processo decisionale europeo in un assetto istituzionale che non è più comunitario, ma non è neanche pienamente federale e sul quale si è innestato un organo spurio legislativo e di controllo come il Consiglio europeo formato dai capi di Stato e di governo – per lo più decisamente contrari a trasferire altre competenze a Bruxelles. Un assetto istituzionale formalmente unitario, ma che in realtà discute e decide soluzioni differenziate rispettivamente per i 17 Paesi membri dell'Eurozona e per i 28 Paesi membri dell'UE.
Non sto valorizzando detta lentezza e farraginosità del processo decisionale europeo, come non apprezzo il decisionismo parolaio del ex-sindaco di Firenze, evidentemente abituato a decidere da solo e rapidamente. Voglio solo sostenere che all'Italia e all'Europa serve ben altro governo, un governo non del premier ma espressione di una maggioranza parlamentare, un governo che abbia la fiducia di un parlamento non di nominati, che sia capace di ridurre sostanzialmente gli spazi troppo ampi fin qui lasciati a strutture tecnocratiche prive di legittimazione democratica e non di rado catturate dalle lobby.

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