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Sull’Articolo 18, è guerra di potere

Governo a maggioranza PD da una parte, CGIL dall'altra, su sponde opposte. Un paradosso, vista la funzione di cinghia di trasmissione che da sempre li lega.

Si gioca così una doppia partita: da una parte, quella per la prevalenza del potere politico, che si gioca nel conflitto tra il consenso politico manifestato a favore del Presidente del Consiglio e quello sociale aggregato dalla CGIL; dall’altra, quella per la prevalenza del potere nella gestione della forza lavoro, che l’abrogazione dell’articolo 18 sposta nettamente a favore degli imprenditori. Il Presidente del Consiglio vuole dimostrare che il suo potere, convalidato dal famoso successo con il 41% alle elezioni europee, è più forte di quello della CGIL: la sfida apertamente a scendere in piazza. Non basta: il Premier non disdegna affatto il supporto del mondo imprenditoriale, che considera l’abrogazione dell’articolo 18, operazione cardine nel processo di riconquista del potere pieno nella organizzazione della azienda.

E’ del tutto inutile, a questo punto, chiedersi se e quanto serva alle imprese l’abrogazione dell’articolo 18 in termini di recupero di produttività o di efficienza: è una battaglia di principio, che si inquadra in una strategia più complessiva volta ad eliminare l’intero schema delle relazioni tra imprese e sindacati prevista nell’articolo 40 della Costituzione, con le rappresentanze che stipulano accordi nazionali valevoli erga omnes. La fuoriuscita della Fiat da Confindustria, e la conseguente disdetta dei contratti collettivi di lavoro che erano stati stipulati a livello nazionale, rappresenta un passo ulteriore nella definizione di un quadro completamente nuovo, quello in cui gli impreditori si muovono singolarmente, azienda per azienda, stipulando i contratti di lavoro direttamente con la rappresentanza di quei lavoratori. Non servono più né la Confindustria, che è la Confederazione delle Unioni degli industriali organizzate per settore produttivo e per territori, né le Confederazioni sindacali: la contrattazione sarà decentrata.

Tony Blair è stato il Premier inglese che è rimasto famoso non solo per essere stato al governo per un intero decennio, dal 1997 ed il 2007, ma soprattuttto perchè elaborò la Terza via tra capitalismo e socialismo, riuscendo ad imporre al suo partito, il Labour, di rinunciare alla Clause IV del suo Statuto, in cui si considerava come obiettivo politico la socializzazione dei mezzi di produzione. Dopo di lui è andato al governo il Partito conservatore, oggi guidato da David Cameron.

Gerhard Schroeder è stato a sua volta il Cancelliere tedesco tra il 1998 ed il 2005. Socialdemocratico, altrettanto famoso per aver gestito la cosiddetta Agenda 2010, ha smantellato il Welfare State tedesco. Ha riformato anche il mercato del lavoro, introducendo tra l’altro i minijobs, con le leggi Hartz, che prendono il nome del direttore del personale della Wolksvagen che presiedette la Commissione che definì le riforme. Allo stesso Schroeder fu così attribuito l’appellativo di Auto-Kanzler. Da allora, il Cancellierato è tornato alla Cdu-Csu guidata da Angela Merkel: anche se fa parte della grosse-koalition, l’Spd, il partito socialdemocratico, è solo una ruota di scorta.

Il Premier italiano Matteo Renzi è un sincero ammiratore di Sergo Marchionne, amministratore di FCA in cui sono state fuse Fiat e Chrysler. Marchionne detesta l’articolo 18 dello Statuto, vuole contratti di lavoro stipulati a livello di singolo stabilimento, ritiene che la Confindustria sia una istituzione vetusta, a cui Fiat infatti non è più associata.

Matteo Renzi ha dunque illustri precedenti: Blair in Inghilterra e Schroeder in Germania, due grandi premier della sinistra europea che hanno governato a lungo. Due grandi riformatori che, adottando politiche liberiste, hanno rottamato innanzitutto i propri partiti. Il Pd non esiste già più: al Premier non basta la Leopolda, gli serve un Partito della Nazione, un contenitore nuovo, idoneo ad aggregare il consenso di centro-destra che ora supporta la sua politica. Deve rottamare anche il Pd, non solo la CGIL, se vuole vincere alle prossime elezioni.

Solo la sinistra può fare politiche di destra. Ed è solo per questo che il mondo della grande industria, della finanza e dei grandi media, ancora una volta, applaude ed acconsente. Pronto, come sempre, a rottamare i rottamatori.

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