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Petrolio, un barile di rebus

Il prezzo del petrolio è crollato a livelli mai così bassi da anni, con impatti notevoli sull'economia, la finanza, l'industria e le Borse

L'economia americana tira, e la Fed ha smesso di immettere liquidità nell'economia. Il dollaro, di conseguenza, si è rivalutato. C'è stata una piena sintonia con l'andamento dell'indice del petrolio Wti, quello estratto in America: si è mosso al ribasso come il Brent, con rilevanti vantaggi per le industrie e per i consumatori americani. Per le esportazioni americane, questo minor costo dell'energia consente di bilanciare più che ampiamente la avvenuta rivalutazione del dollaro rispetto all'euro, che rende le merci americane meno convenienti da esportare. Gli esportatori americani hanno così la possibilità di ridurre i prezzi in dollari praticati all'estero utilizzando almeno una parte del forte risparmio dei costi energetici. Per tutta l'economia americana la riduzione dei costi del petrolio è comunque un vantaggio, perché agisce sulla contrazione dei costi di produzione diversi dal lavoro e dal denaro: le imprese americane sono più competitive e per le famiglie, al netto delle minori spese energetiche, il reddito disponibile aumenta.

Lo scenario geopolitico è di gran lunga più complesso, ma non c'è alcun dubbio che il primo effetto di questa decisione è stato il brusco ridimensionamento della strategia statunitense di soppiantare sul mercato europeo le risorse energetiche russe con quelle del proprio shale gas: se, a questi prezzi, la produzione di molti di questi pozzi deve considerarsi già fuori mercato, è molto improbabile che si dia inizio a nuove perforazioni in bacini marginali. La prospettiva di veder arrivare lo shale-gas americano in Europa deve essere sembrata poco piacevole per la Russia, che infatti non si è opposta alla decisione dell'Opec di non tagliare la produzione di greggio che ne avrebbe fatto risalire i prezzi: la concorrenza va stroncata sul nascere. Potrebbe essere un modo per vedere se sotto la vicenda dello shale-gas americano c'è un bluff, sostenuto ancora una volta da una bolla finanziaria. Bastano pochi mesi a questi prezzi, e va tutto all'aria, chissà.

Il progetto South Stream, il gasdotto volto ad approvviginare l'Europa meridionale ed i Balcani, è solo sospeso: cambierà approdo, non più in Bulgaria, bensì in Turchia spiazzando il Nabucco. Petrolio dall'Irak, o dall'Iran, è davvero difficile che ne arrivi tanto in tempi brevi, mentre il South Stream è già in cantiere ed il mercato europeo rimane bisognoso di gas.

E' la Turchia, quindi, il nuovo pivot di riferimento della Russia, sostituendo completamente l'Egitto nel ruolo di guida nell'area mediorientale: un popolo di stirpe europea e non araba, di religione musulmana, con l'ambizione di estendere la propria area di influenza tutto intorno.

L'Arabia Saudita, a sua volta, non ha nessuna voglia di essere tagliata fuori dalla via della Cina, lasciando all'Iran il ruolo di interlocutore privilegiato.

L'Ucraina rimarrà per l'Europa un peso indigesto: il FMI ha già erogato aiuti per oltre 10 miliardi di dollari, sostituendosi alla Russia nell'ingrato compito di sostenere l'economia di Kiev.

La crisi della Crimea ha rimesso in modo, ancora una volta, il grande gioco degli imperi, come nell'Ottocento. Stavolta, si è aggiunto anche il Celeste impero.

Il petrolio, ancora una volta, è un barile: colmo di rebus.



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