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Popolari d'altri tempi?

Le Banche popolari dovrebbero scegliere, se omologarsi al mercato globale oppure tornare alle origini.

Diversa è la storia di altri Paesi, come l'Inghilterra o la Francia, in cui si formarono nei secoli intere dinastie di banchieri che avevano accumulato enormi ricchezze finanziando spedizioni, Stati, guerre. Erano risorse proprie, non il risparmio popolare, che venivano date a prestito: rovesci clamorosi ed arricchimenti fantastici erano la regola del gioco. Non c'era nessuna vigilanza da parte delle banche centrali né alcun tipo di garanzia pubblica: erano denari del banchiere privato, che rischiava di tasca propria.

Risparmio popolare e grandi banche private hanno origini totalmente diverse. Ma anche l'attività bancaria era diversa: le Casse di risparmio e le Banche popolari potevano solo erogare credito commerciale. Potevano agire solo nei territori in cui avevano gli sportelli: risparmio e credito si specchiavano nell'ambito della medesima collettività locale.

Dalla metà degli anni Novanta, il sistema bancario si è omogeneizzato, globalizzandosi: anziché operare a livello locale o al più nazionale, distinto in banche commerciali e banche di investimento, ogni banca può fare tutto. Siamo in un contesto di “banca universale”. Ciò ha aumentato enormemente i rischi, reso insufficiente il meccanismo della riserva obbligatorie e pressoché impossibile una garanzia affidata esclusivamente alla vigilanza prudenziale delle banche centrali: ne abbiamo visto gli esiti con la crisi finanziaria del 2008. A partire dalla Lehman Brothers, decine di banche sono fallite, sono state nazionalizzate oppure hanno avuto bisogno di fondi pubblici.

Nessuno ha avuto il coraggio di tornare indietro, alle banche locali ed alle banche commerciali, per limitare i rischi sistemici. Si è perseguita la strada di chiedere alle banche di avere più capitale proprio per fronteggiare i rischi di insolvenza, individuando limiti molto restrittivi per i depositi dei risparmiatori.

Le banche popolari sono diventate istituzioni eccentriche: da una parte vivono immerse nella globalizzazione della raccolta e degli impieghi, mentre dall'altra hanno mantenuto una struttura in cui la banca stessa è governata dai dipendenti e da gruppi imprenditoriali locali. E' questa la contraddizione che non regge più.

Se adesso le Banche popolari più grandi, quelle a cui si impone per decreto di trasformarsi in Spa, volessero mantenere la loro struttura democratica secondo cui “ogni testa vale un voto”, dovrebbero ritornare alle origini fondative, quelle delle comunità imprenditoriali locali che mettono insieme le risorse per finanziare lo sviluppo del territorio di cui sono emanazione. Occorrerebbe recuperare un valore etico, nella raccolta e nell'impiego del risparmio, quello della identità e dell'immedesimazione: solo così la Banca popolare tornerebbe ad avere un senso compiuto.

Altrimenti dovremo rassegnarci al comune destino, quello in cui non ci sono più risparmiatori, ma solo investitori. Con poche tutele, tutti alla ricerca dell'Isola del Tesoro, nel grande mare della finanza. Sperando di non finire naufraghi, come Robinson Crosue.

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