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Le reti: vecchi nodi e nuovi intrecci

Come se non bastasse l’Opa lanciata da Ei Towers su Rai Way, si sente parlare di uno switch-off della rete in rame che dovrebbe essere dismessa entro il 2030

Solo quando la infrastruttura di rete fissa che abilita i singoli utenti sul territorio sarà diffusa a sufficienza, allora sarà immaginabile la fornitura anche in Italia di un servizio analogo a quello offerto da Netflix in tantissimi altri Paesi, anche europei: la Ip-tv ha bisogno di un mercato potenziale molto ampio, di decine di milioni di clienti, altrimenti non ha la base economica per decollare. Realizzare una rete in fibra ottica a Milano, a Roma e nelle principali città, non basta. Fino ad allora, non ci sarà altro che la “ritrasmissione in contemporanea” via rete fissa delle medesime trasmissioni televisive diffuse via etere. Al più, si può accedere ad un limitato set di magazzino di film ed alle trasmissioni televisive dell’ultima settimana.

Finora, la gran parte della rete a larga banda sviluppata in Italia utilizza la fibra ottica ed il propocollo Ip sulle dorsali e nella distribuzione del segnale fino alle centrali principali. A valle, per offrire agli utenti la larga banda, si abbina ancora al doppino telefonico una tecnologia x-dsl e recentemente una soluzione denominata Vectoring. Pochissime sono le abitazioni che hanno la fibra diretta: ma è inutile pagare tanto se per il servizio utilizzato basta il normale abbonamento con internet su x-dsl.

Il punto, ora, è quello di diffondere la fibra ottica: diversi governi se ne sono occupati, redigendo un Piano dopo l’altro. Ora, si sente addirittura parlare di uno switch-off della rete in rame, da dismettere entro il 2030: per quella data, tutti i doppini dovrebbero essere sostituiti dalla fibra ottica. Si confrontano varie architetture (fibra ottica direttamente a casa, fibra fino al marciapiedi, fibra fino al più vicino “armadietto di strada”) tutte più o meno costose a seconda di quanta porzione della cablatura in rame va sostituita. Il problema è, come sempre, capire chi paga. Ma è il servizio che si intende offrire che definisce l’infrastruttura: l’uno dipende dall’altro e viceversa.

Ci sono ancora troppi nodi irrisolti che vengono dal passato: l’incertezza strategica del nostro ex-monopolista telefonico, che non ha mai deciso se doveva concentrarsi di più sullo sviluppo della rete, per offrire la banda extra-larga agli altri operatori, ovvero spingersi direttamente sul mercato dei consumatori “spremendo” la rete esistente. Si possono fare profitti in entrambi i modi, ma l’uno esclude l’altro soprattutto nel lungo periodo.

Sembra, ora, che in Italia lo sviluppo della banda extra-larga della rete fissa dell’incumbent possa essere finanziato con i fondi europei messi a disposizione con il Piano Junker: se così fosse, le altre reti fisse (quella di Metroweb, ma non solo) e tutti gli investimenti fatti finora dagli altri operatori per offrire la larga banda con tecnologia x-dsl agli utenti finali (con gli apparati dslam nelle centrali) verrebbero praticamente rottamati. Bisogna soprattutto capire che cosa succederebbe agli utenti di rete fissa che non se la sentano di pagare di più per abbonarsi al servizio a banda extra-larga: potrebbero optare per gli abbonamenti degli operatori mobili che già offrono Internet a larga banda. Già oggi, accade che molti utenti abbiano addirittura disdetto l’abbonamento alla rete fissa: per telefonare ed accedere ad internet usano solo smartphone e tablet. In questa prospettiva, l’equilibrio economico dell’operazione di switch-off della rete in rame verrebbe compromesso.

Anche nello sviluppo della rete fissa, quindi, ai vecchi nodi della sostenibilità finanziaria degli investimenti si aggiungono i nuovi intrecci: quelli legati allo sviluppo tecnologico, ai modelli di business legati alla Ip-tv ed ai rapporti con lo sviluppo delle reti televisive sempre più interconnesse con quelle degli operatori mobili.

Il solito groviglio di interessi.



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