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Bye bye, Italy. Record di capitali all'estero

In un anno, gli italiani hanno investito all'estero 131 miliardi di euro, tre volte il saldo attivo della bilancia commerciale

Siamo un Paese di grandi esportatori, non solo nel settore delle merci, che ha registrato un attivo di 50 miliardi di euro, favorito dal crollo del valore dell'euro rispetto al dollaro, passato dal cambio di 1,40 di maggio scorso a circa 1,08.

Anche il settore dei servizi è andato benino, con un saldo pure qui attivo, ma per soli 2 miliardi di euro. Ce la siamo cavata male, invece, nel settore dei redditi primari, principalmente le rimesse degli immigrati, con un rosso di 3 miliardi. Come sempre, l'emorragia più cospicua è stata quella dei redditi secondari, quelli che una volta erano classificati come trasferimenti: qui il rosso è stato di oltre 17 miliardi di euro. Si tratta degli interessi pagati ai detentori esteri di titoli pubblici e di altre obbligazioni emesse da soggetti italiani.

Il dato più clamoroso è l'export di capitali italiani all'estero, pari a 131 miliardi di euro nei dodici mesi precedenti alla fine di gennaio scorso: approfittando della preannunciata svalutazione dell dollaro, e tenendo conto dei tassi di interessi mai così penalizzanti per i risparmiatori e gli investitori, il portafoglio degli italiani si è arricchito di ben 195 miliardi di titoli esteri, mentre gli investimenti diretti in azioni straniere sono aumentati di 16,7 miliardi di euro.

Gli stranieri hanno effettuato investimenti in Italia per 87 miliardi in titoli di debito ed appena 3,8 miliardi in equity. Dalla somma di questi addendi vanno detratti disinvestimenti per 15 miliardi: il totale netto degli investimenti esteri effettuati in Italia nello scorso anno è stato quindi di 76 miliardi, un ammontare pari a circa la metà degli investimenti effettuati dagli italiani all’estero. Insomma, sono gli italiani che vanno a fare shopping all’estero.

E' così che il risparmio se ne va, un giorno dietro l'altro.

Se solo fosse stato investito nell'economia reale, in immobili o nella ricapitalizzazione delle imprese, l'economia italiana avrebbe preso il volo. Ed invece è volato via, all'estero: troppe tasse su chi lavora, senza distinzione tra chi è operaio, impiegato, imprenditore o professionista a partita Iva. Nessuno sgravio per chi reinveste nell'azienda. Troppe incertezze nel sistema bancario, aggravato dalle sofferenze accumulate in anni di recessione.

L'abbattimento dei salari e la precarizzazione del lavoro non sono serviti a niente, come gli aumenti delle tasse sulla casa, sulla benzina e gli incrementi dell'Iva. Il disavanzo pubblico sta sempre lì, appena un pelo sotto il 3%, mentre il debito pubblico ha superato il 130% del PIL per via della recessione.

Siamo rimasti al palo: senza opere pubbliche, inutilmente costose e fonte di corruzione, e senza investimenti privati, terrorizzati dalle tasse che aumentano in continuazione, dalla burocrazia e dalla inconcludenza.

Meglio investire all'estero che lavorare. Bye, bye Italy!

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