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Grecia: dal coniglio al cerino acceso

Della Grecia non importa niente a nessuno, dell’euro sì

Della Grecia non importa niente a nessuno, dell'euro sì. La posta in ballo con il referendum non è affatto la fuoriuscita dall'euro ma il pagamento del debito greco: se vincono i sì, i greci lo ripagheranno tutto fino all'ultimo, mentre se vinceranno i no si arriverà alla ristrutturazione.

La ragione è chiara: quello della Grecia non sarebbe un default come un altro, come quello dell'Argentina nel 2001, ma l'inizio della disgregazione sia di una area geopolitica occidentale filoamericana, che fa da argine alla Russia, sia di una moneta di riserva internazionale che fa da contrappeso al dollaro, con ripercussioni enormi sulle strategie geoeconomiche planetarie che Cina e Russia stanno costruendo insieme.

Ci sono ragioni quindi geopolitiche e geoeconomiche del tutto diverse, diametralmente opposte, da parte di Germania, Usa, Cina e Russia, in ordine al mantenimento della Grecia nell'area dell'euro.

Alla Germania non interessa affatto quale sarà l'esito del referendum: vuole dimostrare che non hanno alcuna importanza gli orientamenti dei popoli e meno ancora i cambi di governo, poiché i patti relativi agli aiuti finanziari devono essere rispettati ad ogni costo. La democrazia non può far venir meno gli impegni presi.

Per gli Usa, invece, occorre trovare un accordo ad ogni costo, anche prima del referendum, per evitare che la Grecia tenda a fuoriuscire da un blocco politico, economico e militare che rappresenta la sponda antirussa: la Unione europea e la Nato sono due versioni della medesima alleanza geopolitica e geoeconomica allo stesso tempo. Non può permettersi, dopo la crisi crimeana e le tensioni enormi che tuttora percorrono la Ucraina, di aprire un nuovo varco alla Russia, che giù si è fatta avanti con la Turchia, Cipro e l'Egitto.

Per la Cina e la Russia, invece, è necessario mantenere saldo l'euro per evitare che la sua dissoluzione riporti il dollaro ad essere l'unica valuta internazionale di riserva: stanno facendo insieme i necessari passi in avanti sulla via della de-dollarizzazione dei loro scambi internazionali, costruendo una strategia che si basa su un numero assai articolato di obiettivi: riconoscimento della Cina come economia di mercato; attribuzione al renminbi (come è spesso chiamato lo yuan cinese) dello status di valuta di riferimento ai fini della determinazione del valore dei Diritti speciali di prelievo nell'ambito del FMI, forse sostituendosi alla sterlina inglese; costituzione di una Banca internazionale di sviluppo alternativa alla Banca Mondiale. Una crisi dell'euro, scatenata dal default della Grecia, non solo restituirebbe al dollaro il ruolo di unica moneta di riserva mondiale, ma comprometterebbe anche il valore delle sue riserve internazionali in valuta.

La Russia, a sua volta, non può che appoggiare la Cina, essendo alleati in una strategia che mira ad evitare l'isolamento economico che deriverebbe dalla adozione dei due trattati proposti dagli Usa per la liberalizzazione internazionale dei servizi, da una parte il TTIP (Trans Atlantic Trade and Investment Partnership) che coinvolge l'intera Europa escludendo la Russia, e dall'altra il TPP che coinvolge l'intero scacchiere asiatico (Trans Pacific Partnership) escludendo la Cina. Cina e Russia hanno bisogno di tempo, tra cinque e dieci anni, per arrivare a sostituire l'euro come valuta globale alternativa al dollaro.

La Francia, nonostante l'invito americano ad assumere il ruolo di mediatore, non è riuscita ad imporsi alla Germania. L'Inghilterra tace, anche perché ha tutto l'interesse a sottrarre la Grecia dall'influenza tedesca, e probabilmente sostiene da dietro le quinte un governo greco che sta facendo vedere i sorci verdi a Berlino: Grexit e Brexit rappresentano una morsa.

Della Grecia in quanto tale non importa niente a nessuno, ma il suo default è un detonatore che può far saltare in aria l'euro e l'Europa.

Il referendum di domenica non è una miccia accesa nella polveriera delle tensioni che attraversano l'eurozona, perché le grandi potenze hanno già deciso che, comunque vada, si dovrà trovare un accordo.

La Germania punta al ribaltone, a far saltare il governo Tsipras, mentre agli Usa, alla Cina ed alla Russia interessa un accordo purchessia: l'Europa deve tirarsi su le braghe da sola.

Il referendum è ormai solo una prova di forza tra il governo greco ed i falchi della Unione europea: se vincono i no, chiederanno la ristrutturazione del debito. Dal gioco del coniglio siamo passati a quello del cerino acceso: stavolta comunque vada qualcuno si brucia, e non solo le dita. Chi si illude che la Grecia possa davvero ripagare il debito è un vero incendiario.



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