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La Grecia come la Germania Est?

Su Atene, insieme ai falchi del rigore volteggiano gli avvoltoi. Quelli che si sono già spolpati la DDR

Scomparve senza lasciare traccia di sé, la DDR, assorbita dalla Repubblica federale tedesca in un abbraccio fraterno, così stretto da stritolarla. Era il regime comunista più efficiente, quello di Pankow, con un attivo commerciale sull'estero ragguardevole, ancorché riferito al Comecon, la Comunità economica degli Stati socialisti di allora. Delle sue industrie non ne è rimasta in piedi nessuna: sono state assorbite, spolpate, dalle sorelle della Germania Occidentale.

Fu un Anschluss giustificato dalla scarsa produttività rispetto agli standard occidentali: un patrimonio industriale, immobiliare e finanziario che si è dissolto nel nulla. Provvide la instancabile Treuhandanstalt, un Fondo fiduciario creato per liquidare tutti gli asset della DDR: è così che la Germania si è rinvigorita, dopo l'unificazione, comprando il sistema industriale dell'Est a pochi marchi, anzi facendosi finanziare dallo Stato tedesco. Era un sistema inefficiente, diseconomico, improduttivo: non c'è aggettivo al mondo che potesse misurare il disgusto e la riprovazione dei Tedeschi dell'Ovest verso quell'apparato produttivo, emblema del vetero socialismo.

Sono pronti a fare lo stesso con la Grecia: un boccone in più non guasta. Basta leggere il Documento dell'Euro Summit, in cui si chiede, tra le tante condizioni, di istituire un Fondo indipendente che monetizzi gli asset pubblici attraverso privatizzazioni ed altri strumenti. L'importo stimato è di 50 miliardi di euro, più del doppio dei proventi stimati dal FMI nella lettera di intenti inviatagli dal Governo greco nel 2012, che arrivava ad appena 22 miliardi di euro. Eppure, già allora la lista dei beni greci da vendere faceva impressione. Non se ne fece nulla, o molto poco, perché la depressione economica allontanò tutti i potenziali acquirenti. Sono rimasti in lizza i cinesi, interessati al Porto del Pireo.

Ora si torna alla carica: serve un Fondo indipendente, che metta le mani sugli asset pubblici della Grecia. Atene è ridotta a poco più di una carcassa: bisogna deprezzare, prima di comprare. Anzi, la regola vuole che si compri da chi è disperato e si venda a chi ha quattrini da buttar via. Ed è per questo che finalmente arriveranno anche i quattrini della Unione europea, 35 miliardi di euro, solo ora, per far aumentare l'occupazione. C'è da scommettere che saranno le solite industrie tedesche a fare il doppio bottino: da una parte compreranno gli asset pubblici greci a pochi euro, e dall'altra se ne faranno finanziare il rilancio con i Fondi europei. Il gioco lo conoscono bene: a Bruxelles sono di casa. Anzi, comandano loro.

Ridurre la Grecia, come si è fatto con l'Italia e la Spagna, in condizioni pietose, fa parte della stessa strategia che abbiamo già vissuto nel 1992: anche allora, per abbattere il debito pubblico la ricetta era vendere, anzi svendere, il patrimonio pubblico: anche autostrade, aeroporti, reti di telecomunicazioni, assicurazioni. Tutto passato in mani private, che incassano annualmente i dividendi.

Noi italiani, i proventi delle privatizzazioni ce li siamo già giocati con crisi del ‘92. Ora tocca alla Grecia. Il mercato ha le sue regole, come gli avvoltoi.

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