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Con la Cassa, dentro il Monte...

Per la politica industriale, servono uomini o banche?

Il cambio della guardia repentino alla guida della Cassa Depositi e Prestiti lascia presagire che non si tratti solo di una questione di uomini: forse, il governo Renzi vuole farne una istituzione più dinamica, uno strumento di politica industriale.

Ogni governo fa così: con Tremonti, era stata pilotata al di fuori dall'ambito delle Pubbliche amministrazioni, erano entrate le Fondazioni bancarie, e si era intestata una serie di iniziative volte a mantenere nell'ambito nazionale le aziende in procinto di essere acquisite dall'estero, con il Fondo Strategico Italiano. Si era accollata Fintecna, poi ha fatto da bancomat per le privatizzazioni del governo Monti e Letta, si è accollata Snam Rete Gas ed ha costituito un piccolo polo delle infrastrutture a rete, con Terna. Ha anticipato un po' di milioni di euro al Demanio per accelerare le dismissioni immobiliari, e nel frattempo ha messo in cantiere un po' di iniziative nel settore del social housing. Ha perso lo storico monopolio di banca degli enti locali, da quando i servizi finanziari sono stati liberalizzati. Poi, ha dovuto seguire i desiderata dell'azionista Tesoro. Alle Fondazioni interessa solo il dividendo, ed è su questo che hanno ottenuto una garanzia con le recenti modifiche statutarie.

Per il resto, del futuro della Cassa se ne sa poco o nulla. Il nuovo top management è di altissimo profilo, banchieri di lungo corso. Già, ma per fare che cosa? Ci sono due questioni di fondo ancora da chiarire.

Primo punto, c'è in ballo il collegamento con le Poste italiane, che era stato da sempre il distributore delle emissioni della Cassa: si chiamano Buoni fruttiferi postali, ed hanno un immenso privilegio finanziario, visto che sono rimborsabili a vista anche prima della scadenza. Non esiste un mercato dei Buoni postali perché le poste sono pronte a restituire il valore capitale in ogni momento, anche se si tratta di Buoni che scadranno dopo molti anni. Su questo, la Cassa sta procedendo per un'altra via, con emissioni piazzate ricorrendo al canale bancario. E si tratta di titoli che non hanno il privilegio dei Buoni fruttiferi postali. E' evidente che si tratta di una scelta assai delicata, anche per le Poste che stanno per essere collocate in Borsa: perdere il privilegio di essere il distributore delle emissioni della cassa vuol dire segare un bel po' del valore delle Poste. Nessuno ne parla, come sempre, ma è un problema che impatta enormemente sul valore delle Poste Italiane.

Seconda questione, le iniziative di politica industriale. E' noto che la Cassa è stata finalmente inserita tra le istituzioni di matrice pubblicistica che beneficeranno degli acquisti dei loro titoli obbligazionari da parte della BCE, nell'ambito del programma di Quantitative easing. Sono quisquilie, visto che di titoli di questo genere, sul mercato, ce ne sono pochissimi. Ma la questione rileva ai fini della qualificazione giuridica della Cassa, in vista del Piano Junker: il programma di investimenti infrastrutturali volti a sostenere la crescita economica. Serve all'Italia un interlocutore finanziario pubblico che faccia da referente, elabori i progetti da sottoporre a Bruxelles e promuova la raccolta dei fondi sul mercato. Questo aspetto è tutto da costruire, anche perché del Piano Junker ancora si sa molto poco.

Che cosa c'è d'altro? Sicuramente una vocazione di politica industriale, che vada oltre la semplice partecipazione al capitale azionario di imprese che hanno bisogno di svilupparsi. Servirebbe una banca. Troppe volte si cita l'esperienza della KWF tedesca, che ha ereditato le competenze assolte ai tempi del Piano Marshall che invece in Italia erano state svolte dall'IMI. Quest'ultimo sì che era un vero Istituto bancario per il finanziamento industriale a medio termine. Di certo, ci sono le sinergie con la Sace e con la Simest, che sono entrambe controllate dalla Cassa, visto che la prima svolge una attività di tipo assicurativo a favore delle imprese italiane che lavorano con l'estero mentre la seconda svolge una attività di credito all'esportazione. C'è stata una vigorosa polemica lo scorso inverno sulla prospettiva di costituire una banca da parte di Sace, e non si sa se la questione sia ancora aperta.

Rimane da ultimo la questione di una banca pubblica focalizzata sullo sviluppo industriale e sugli investimenti infrastrutturali. C'erano, e si chiamavano Imi e Crediop. Vendute entrambe, anche se la seconda fino a qualche mese fa sembrava che potesse essere ancora recuperata.

La BCE vuole a tutti i costi un partner per il Monte dei Paschi: il Tesoro è azionista, ma di minoranza. Forse una partecipazione della Cassa potrebbe rappresentare un momento di svolta, restituendo alla più antica banca del mondo un ruolo ed una funzione. La questione del Monte dei Paschi è complessa, visto che dopo la acquisizione di Antonveneta ci sono stati fin troppi problemi.

La verità è che il mestiere bancario non si improvvisa, anche se a capo di una istituzione veneranda come la Cassa ci sono due eccellenti professionisti. Magari, per trasformarla ancora una volta, ci potrebbe volere troppo tempo.

E di tempo ne abbiamo davvero poco.


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