Per stabilizzare il rapporto debito/PIL, sarebbe necessario che la crescita del PIL in termini nominali (crescita reale + inflazione) fosse pari al deficit. Se il deficit per il 2016 è pari al 2,3% del PIL, e questo deficit si va a sommare al debito che alla fine dell'anno precedente era pari a circa il 133% del PIL, la stabilizzazione del rapporto debito/PIL richiede che il PIL nominale (il denominatore del rapporto debito/PIL) cresca della stessa percentuale (+2,3%).
Ma se il PIL nominale non cresce almeno del 2,3%, perché il PIL reale rallenta e la inflazione tende a zero, il rapporto debito/PIL peggiora.
Nonostante l'onere degli interessi sul debito pubblico stia diminuendo per via degli interventi della BCE attraverso gli acquisti di titoli pubblici con il
Quantitative Easing, che ha determinato la riduzione degli spread, l'Italia ha ancora un
onere pesantissimo di interessi sugli oltre 2.200 miliardi di euro di debito pubblico accumulato.
Dopo la svalutazione del '92, eravamo riusciti con grandi sacrifici a ridurre gradatamente l'incidenza del debito sul PIL, fino al 2008. Poi con la crisi, e soprattutto con la recessione causata nel 2012-2013 dalle manovre fiscali che avrebbero dovuto stabilizzare le finanze pubbliche, il rapporto debito pubblico/PIL è tornato a salire.
Lo Stato italiano spende annualmente per gli interessi sul debito pubblico
una somma pari almeno al doppio, se non al triplo, di quella che destina agli investimenti.
L'Italia si dissangua da vent'anni per pagare i Rentier di tutto il mondo: tra il 1993 ed il 2013 ha pagato interessi per 1.650 miliardi di euro, rispetto ad un PIL che nel 2013 era di soli 1.365 miliardi.
E poi ci si domanda come mai l'economia italiana non cresce. Tenendosi, naturalmente, gli occhi ben coperti da
spesse fette di prosciutto.
"