(Teleborsa) - Quando le milizie dello
Stato islamico hanno conquistato
Mosul, lo scorso giugno, vale a dire la roccaforte dell’estrazione petrolifera irachena, il gruppo jihadista si vantava del primato di poter offrire alla popolazione dell’autoproclamato califfato il carburante più economico nella regione.
Da allora il
prezzo mondiale del petrolio è sceso di oltre il 30%, eppure, nella più grande città del nord dell'
Iraq, il costo di un pieno di benzina è più che raddoppiato.
Gli attacchi aerei della
coalizione coordinata dagli Stati Uniti, contro le installazioni petrolifere Isis, hanno gravemente ridotto la sua capacità di generare reddito. Allo stesso tempo i leader dello Stato Islamico stanno facendo i conti con l’aumento dei costi per finanziare le campagne militari in Iraq e in
Siria, mettendo sotto pressione le proprie casse che devono anche sopportare l’onere di pagare l’intera milizia.
"La situazione è cambiata enormemente per il gruppo in termini di volumi di petrolio estratto e raffinato", ha detto
Valerie Marcel, analista sul mercato petrolifero per Chatham House, un istituto indipendente di analisi politica di Londra. "Questo è ciò che è più importante per la loro organizzazione militare".
Se la lotta contro lo Stato islamico ha raggiunto sul terreno un punto morto, il gruppo jihadista stesso è bloccato da mesi in Iraq e Siria, per la scarsità di petrolio da destinare al sostegno economico dell’Isis.
Stime precedenti da parte di funzionari dell’intelligence USA e di autorevoli analisti del mercato petrolifero, indicavano in 2 milioni di dollari al giorno il flusso in entrata nelle casse delle casse dello stato islamico; ora sarebbero poco più di 200.000 dollari al giorno, se venduto grezzo o circa 400.000 se prima pompato e poi raffinato.