(Teleborsa) - Nome?
Ignazio Marino. Marino come il comune dei Castelli Romani? Si, ma lui è di Genova. Di Genova?
E’ questo che molto spesso, e sempre più insistentemente, si chiedono i cittadini romani da ormai due anni. Ma come ha fatto un genoano a diventare il
sindaco di Roma? Come candidato, calato dall'intellighenzia del partito,
Marino ha vinto prima le primarie per il candidato sindaco di Roma del
Partito Democratico davanti al' ex-giornalista Rai David Sassoli ed all'ex-democristiano ed attuale Ministro degli esteri
Paolo Gentiloni. Alle elezioni comunali, poi, Marino ha schiantato l’asfittico sindaco uscente Gianni Alemanno, campione sbagliato di un
Centro-Destra in odore di scandali. Il 48% dei circa 100.000 cittadini romani che hanno votato alle
primarie del PD sono stati, quindi, gli artefici della scalata al
Campidoglio del genovese Ignazio Marino.
Sono passati solo due anni ed a
Roma è successo di tutto: Mafia Capitale, Terra di Mezzo, procedura di commissariamento del comune, AMA, ATAC, cooperative, dimissioni di consiglieri, rimpasto di giunta. Un enorme
guazzabuglio che durante il suo svolgersi ha visto la Capitale scendere sempre più in basso tanto che il suo stato, al limite della discarica a cielo aperto, è stato certificato con ignominia dall'autorevole
New York Times.
Intanto, all'inizio della settimana, il sindaco e le persone del suo staff, un organico di oltre
settanta persone con un costo complessivo per la collettività di circa 4 milioni di euro (dati 2013), ha azzerato i vertici dell'
ATAC certamente rei del caos aziendale e dei disagi causati recentemente ai cittadini.
A questo punto serve una breve cronistoria dell'
ATAC. Nel 2013, quando Marino sale al Campidoglio defenestra i capi dell’azienda guidata allora da
Gioacchino Gabbuti, amministratore delegato di veltroniana memoria, che ha resistito anche a cinque anni di centrodestra con
Alemanno. Lo ha sostituito da Danilo Broggi, ex board of Director di
Sirti S.p.A., azienda operante nel settore delle infrastrutture di telecomunicazione, e mandato a casa da Marino pochi giorni fa. L’operazione di rimozione del management a "guida Gabbuti" che quello a "guida
Broggi” sono costati al contribuente romano, che paga le tasse locali tra le più alte d’Italia, assegni di liquidazione milionari prossimi, se non superiori, ai 10 milioni di euro.
Alcuni vedono nell'ultimo sollevamento d’incarico un primo passo alla
privatizzazione dell’azienda di trasporti romana che affonda in un debito di circa 700 milioni euro, altri, invece, evidenziano l’ennesima prova di
incapacità gestionale del sindaco che licenzia persone da lui stesso scelte solo 2 anni prima.
Il New York Times ha definito Ignazio Marino un
uomo onesto alle prese di grandi problemi. I problemi, proporzionali alla grandezza ed al
prestigio della città, sono sicuramente grandi ma non riusciamo ad essere sicuri delle capacità manageriali del sindaco che molti cercano portare a nuova verginità dimenticando che su Marino aleggia lo spettro di
Mafia Capitale, non tanto per i consiglieri comunali del Partito Democratico arrestati, quanto per l’intercettazione telefonica di
Silvia Decina, capo segreteria del sindaco, con
Salvatore Buzzi, deus ex machina delle cooperative rosse implicate in Mafia Capitale.
Tra tutte queste complicate vicende, il sindaco Marino non vuol sentire ragioni e tira avanti annunciando un rimpasto di giunta a cui non parteciperanno i defilati alleati di
Sinistra Ecologia e Libertà che comunque garantiranno l'appoggio esterno. Quanto meno ambiguo è l'atteggiamento del partito democratico nei confronti del suo esponente romano al quale dichiara una fiducia condizionata lasciando così la
Capitale impantanata in una situazione creata dallo stesso
PD, sempre più avviluppato in un perenne congresso interno. Probabilmente sarà la memoria dei fatti accaduti a salvare Roma dal
degrado, ammesso e non concesso, che i cittadini abbiano la possibilità di tornare alle urne.