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Scuola, discriminare i precari costa caro al Miur: 150 mila euro di risarcimento a 32 supplenti

Economia
Scuola, discriminare i precari costa caro al Miur: 150 mila euro di risarcimento a 32 supplenti
(Teleborsa) - La disparità di trattamento, che sfocia nella discriminazione, è il trade union di ben 24 sentenze analoghe, ottenute dall’Anief presso i Tribunali del Lavoro di Torino, Vercelli e Ivrea: tutte vedono l’amministrazione scolastica soccombente per violazione di norme comunitarie nei confronti di 32 docenti precari cui non aveva mai riconosciuto il diritto alle progressioni di carriera e all'anzianità di servizio maturata in ragione dei tanti contratti a termine succedutisi nel corso degli anni.

Il Miur dovrà pagare ben circa 150 mila euro, tra risarcimento danni e condanna alle spese di giudizio.

Le ragioni del giovane sindacato, condotte dai legali Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi, hanno trovato pieno accoglimento da parte dei giudici del lavoro: "Non riconoscere alle ricorrenti la progressione stipendiale legata all’anzianità – si legge nelle tante sentenze emanate dai tribunali piemontesi - realizza una disparità di trattamento non sorretta da ragioni oggettive e, come tale, contrastante con i principi comunitari in materia di lavoro a tempo determinato così come interpretati dalla Corte di Giustizia".

"Sono passati oltre due anni dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha messo fine alla tradizione, tutta italiana, di sfruttare e sminuire la professionalità dei lavoratori precari della scuola", commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, "ma sinora nessuna norma che danneggia i supplenti è stata cambiata, costringendo i lavoratori non di ruolo, con oltre 36 mesi di servizio svolto, a fare ricorso". Sia per chiedere l’immissione in ruolo e l’assegnazione degli scatti stipendiali, sia per vedersi riconosciuta una corretta ricostruzione di carriera, comprensiva di tutti gli anni di pre-ruolo considerati al 100 per cento. "Chiediamo ora che si sani questa ingiustizia, non più attraverso il ricorso ai tribunali, ma nelle aule parlamentari".
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