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Industria 4.0, in Italia lavoratori e imprese impreparati

Alleva (Istat): professioni ICT "vincenti" ma gravi i ritardi nelle competenze digitali e nell'organizzazione d’impresa

Economia, Welfare
Industria 4.0, in Italia lavoratori e imprese impreparati
(Teleborsa) - Il mercato del lavoro italiano rischia di perdere il treno della quarta rivoluzione industriale. Lo ha sottolineato il Presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, in audizione al Senato: l’andamento dell’occupazione nelle professioni ICT nel periodo 2011-2016 è stato più favorevole di quello dell’occupazione nel suo complesso.

Gli occupati in questo aggregato di professioni sono stimati nel 2016 in 750 mila persone, in aumento del 4,9% nell'ultimo anno (rispetto al +1,3% nel complesso dell’occupazione) e di oltre il 12% rispetto al 2011 (rispetto al +0,7% dell’occupazione totale). Tra le 27 professioni “vincenti” (con aumenti superiori alle 20 mila unità) figurano gli addetti agli affari generali, i tecnici della produzione manifatturiera, gli analisti e i progettisti di software e gli specialisti nei rapporti con il mercato e nel marketing.

Tuttavia l’Italia, tra i cinque maggiori paesi europei, mostra il più basso livello di diffusione delle competenze digitali: la percentuale della forze di lavoro che ne possiede è considerevolmente inferiore (il 23% contro il 32%) e il divario è ancora maggiore quando si considera l’insieme della popolazione in età di lavoro.

Inoltre, mentre nel 2016 in Europa almeno un adulto su dieci (il 10,8%) fra i 25 e i 64 anni ha partecipato a iniziative formative nelle ultime 4 settimane, il Belpaese si attesta al di sotto della media (8,3%). Fra gli individui in possesso al più del titolo secondario inferiore, la quota di quanti hanno partecipato ad attività formative scende addirittura al 2,3% (rispetto al 4,2% dell’UE 28).

Nonostante i piani di sostegno all'industria 4.0 permane anche il divario nell'organizzazione d’impresa e, in particolare, nel commercio elettronico. Un terzo delle aziende italiane non ritiene che valga la pena sostenere i costi di vendere online, perché non ripagati dai benefici (contro il 22% per l’insieme dell’Unione).
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