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E se fossero gli Enti Locali ad aver scommesso sui derivati?

L’investimento nei temibili derivati riguarda un po’ tutti gli italiani, anche quelli che non sanno nemmeno cosa siano i BOT.

Perché questa corsa ai derivati?

Cosa ha spinto le piccole e grandi realtà locali del Bel Paese a correre tra le braccia di questi temibili strumenti finanziari? Sicuramente, l'atavica sete di liquidità aumentata a dismisura dopo il varo del Patto di stabilità (il perché le casse di molti Comuni & Co. siano perennemente a secco, poi, è tutto da chiarire) ma anche, al contrario, la volontà di far fruttare i "risparmi" messi da parte da realtà virtuose.

In secondo luogo, spesso gli amministratori si sono lasciati convincere da banchieri senza scrupoli. "Sono operazioni che di solito si costruiscono su un debito. Sul debito si pagano gli interessi, che possono aumentare a seconda di come vanno i mercati. E allora la banca di solito ti propone una assicurazione. Prospettata così nessuno dice di no. E infatti li hanno piazzati un po' a tutti (...). E tu non lo capisci, perché sono contratti così complessi che addirittura l'ex ministro delle finanze Siniscalco ha detto: Io stesso ho difficoltà a leggerli e a capirli", spiegava la Gabanelli. Del resto, ignorantia legis non excusat, questo vale anche nello spietato mondo della finanza.
In terzo luogo, grazie a questi contratti il debito può essere spostato di molti anni, magari alla prossima amministrazione.

Infine, apparentemente l'emissione di derivati non tocca gli utili dal momento che transita solo per lo Stato Patrimoniale. Anche ammesso che una realtà locale sia di fronte ad una perdita potenziale di milioni di euro, non dovrà iscriverla a bilancio perché è solo stimata, market to market, appunto. Nei bilanci, poi, non si indicano i contratti ma solo i flussi di cassa.

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