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Sliding Doors

Se arriva (e se non arriva) l'uragano Tsipras.

C’è molto dibattito, in tutto il nord Europa, sull’opportunità di tassi troppo bassi e di curve dei rendimenti sempre più piatte. Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia si stanno accorgendo che i rendimenti eccezionalmente bassi stanno costringendo le assicurazioni e i fondi pensione, per i quali è sempre più vietato avere azioni o governativi di bassa qualità, ad arrampicarsi lungo la curva e comprare titoli sempre più lunghi per potere garantire un minimo di rendimento alle loro gestioni. Norme introdotte per rendere più sicuri i loro investimenti stanno avendo l’effetto perverso di creare portafogli vulnerabili in caso di futuri rialzi dei tassi.

La Germania per il momento non si pone il problema. E’ però sempre meno comprensibile l’atteggiamento dei tedeschi che in Bce si oppongono a un ribasso dei tassi europei (che favorirebbero una cattiva allocazione delle risorse) mentre a casa loro non si fanno troppi problemi sui rendimenti a zero su una porzione sempre più lunga della curva governativa.

Dal canto suo l’Erf, il fondo di parziale mutualizzazione del debito europeo, non è uscito di scena, anzi, ma sta scivolando su tempi più lunghi. La Spd e i Verdi lo hanno tolto dalle condizioni per approvare al Bundestag il fiscal compact e Schauble l’ha subordinato all’unione fiscale. La Bundesbank si è invece occupata dell’unione bancaria, definendola prematura e condizionandola, di nuovo, all’unione politica e fiscale.

La dottrina tedesca sull’Europa, a questo punto, si conferma come rigorosa, ma è anche un capolavoro di ambiguità. Il principio generale è che bisogna mettere al primo posto l’unione politica e che qualsiasi forma di mutualizzazione deve essere accompagnata da una cessione di sovranità. Se volete i miei soldi, dice la Germania, dovete permettermi di controllare, attraverso Bruxelles, come verranno spesi.

Ineccepibile. Il problema è che però non esiste una versione ufficiale tedesca del concetto di unione fiscale. Quanto all’unione politica, l’idea di eleggere il prossimo Van Rompuy con voto popolare non sembra un granché.

Certo, Berlino ha due problemi. Il primo è la necessità di tenere le sue carte il più coperte possibile. Il secondo è la riluttanza della Francia nei confronti di qualsiasi devoluzione di sovranità. Ci avevano avvertito.

Per il momento non c’è troppo da dubitare della buona fede tedesca sull’unione politica. Il rischio è però che i mercati, a un certo punto, possano vederla come un pretesto per rinviare qualsiasi forma di mutualizzazione.

Detto questo, che si fa da lunedì in avanti? Nell’immediato il meno possibile, chiunque vinca in Grecia. Le banche centrali cercheranno di tenere i cambi stabili, almeno nei primi giorni, per togliere spunti speculativi agli altri asset. Se vince Tsipras si scenderà, ma gli short dovranno coprirsi prima della riunione della Fed di mercoledì. Se vince Samaras si salirà moderatamente fino al Fomc e forse oltre, ma le economie deboli e le grandi incertezze sull’Europa saranno un forte freno.

In generale, come abbiamo detto, le posizioni sono molto leggere, ma il sentiment rimane cupamente pessimista e prontissimo a riaprire gli short. Al punto da far dire a Thomas Lee di JP Morgan che entro le prossime quattro settimane potremmo avere un minimo solido e importante per i mercati azionari.
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