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Gervasoni: la finanza sia al servizio delle imprese

Intervista ad Anna Gervasoni, Direttore Generale AIFI, Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital.

Il contesto normativo in cui vi muovete è adatto? Avreste modifiche da chiedere al legislatore?

Come spesso avviene in Italia, i problemi non afferiscono al quadro normativo. Potrei dirle che sarebbe bello, ad esempio, poter favorire fiscalmente la quotazione in Borsa, ma sarebbe un esercizio di stile, del tutto teorico, perché tanto Bruxelles li boccerebbe come aiuti di Stato. Piuttosto, è la "filiera consulenziale" che rappresenta spesso un gravame improprio, che guarda alle imprese come a una gallina dalle uova d'oro; basterebbe semplificare i processi, introdurre un prospetto standard, facilmente compilabile, evitando di imporre a piccole o medie aziende una compliance più adatta alla General Motors o infliggere loro pacchetti consulenziali del tutto sproporzionati.

Vediamo ora di conoscere un po' meglio AIFI. Vi considerate sufficientemente rappresentativi del mondo private equity e venture capital?
Spero proprio di sì, avendo 118 associati, su 130 operatori complessivamente attivi in Italia.

Molte associazioni faticano a tenere insieme interessi diversi, sotto il profilo della dimensione o della nazionalità. Voi?

Consideriamo la diversità, ben rappresentata dalle 5 - 6 vesti giuridiche che hanno i nostri associati, come una nostra grande ricchezza e sin dalla nostra nascita siamo stati abituati a gestirla. Anzi, questo è divertente e, benché lo staff sia composto solo da 9 persone, con un piccolo budget, riusciamo egualmente ad articolare la nostra attività in gruppi e sottogruppi ben specializzati. Noi ci consideriamo una lobby che rappresenta gli interessi legittimi di un mestiere e non semplicemente di una categoria, ricercando un interscambio continuo con le Istituzioni.

L'assemblea AIFI del 29 maggio ha visto importanti cambiamenti. Nel Consiglio Direttivo sono entrati a far parte FSI-Fondo Strategico Italiano e FII-Fondo Italiano d'Investimento, i fondi del Tesoro che segnano il debutto dello stato tra i capitalisti privati.

E' un passaggio di grande rilevanza. E' importante che FSI e FII siano in AIFI, per evitare duplicazioni e perché più ci si parla tra diversi operatori e meglio è. FSI e FII, d'altra parte, sono addizionali e complementari rispetto agli altri fondi.

Come mai AIFI ha utilizzato una società di head hunting, per di più del rilievo di Egon Zehnder, per individuare il suo nuovo Presidente, nella persona di Innocenzo Cipolletta?

AIFI ha uno statuto di grande democrazia, che prevede voto trasparente, nessuna forma di cooptazione, rotazione negli incarichi, anche per quanto riguarda la formazione del Consiglio Direttivo. La figura del Presidente, poi, non deve essere legata al mondo private equity, analogamente a come è sempre stato, anche in passato, con Giampio Bracchi, Claudio Demattè e Marco Vitale; piuttosto, deve assommare conoscenze sia di finanza che di industria, oltre ad avere capacità di dialogo di alto livello con le Istituzioni. Nella lista che ci è stata sottoposta, Cipolletta era al primo posto, per queste caratteristiche.

Su tematiche più generali, dal suo punto di osservazione, come giudica la situazione dell'euro e dei mercati finanziari?

Non è solo una speranza dire che ce la faremo. Non penso che si sia così irresponsabili da vanificare, con l'eventuale caduta della moneta unica, tutto il processo di costruzione europeo.

Guardando il rapporto con la reale produzione di beni e servizi, non ritiene che la finanza abbia avuto un ruolo abnorme? Il leverage non è stato eccessivo?

Premesso che il debito non è un crimine, come già hanno dimostrato Modigliani e Miller, in Italia si è sempre stati molto cauti con certe acrobazie. L'industria del private equity mondiale ha ben compreso la situazione, ma temo che altri strumenti e segmenti della finanza siano ancora ben lontani da una piena consapevolezza dei rischi connessi a certi eccessi. Anche ai miei studenti dico sempre di rifuggire dai guadagni facili ed illusori, che la speculazione ha un che di insano e che la finanza deve essere sempre al servizio delle imprese e dell'economia reale.
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