Se l'Italia non si è dimostrata in grado di accrescere la propria efficienza come gli altri paesi europei; se tutti i principali settori di attività economica ne hanno sofferto, sebbene l'industria ne sia stata più colpita; se il fenomeno si è manifestato in tutte le fasi cicliche da noi attraversate,
le cause dove vanno ricercate?
Certamente, nella struttura produttiva, ormai quasi priva di grandi imprese in grado di imprimere allo sviluppo un'autonoma e vigorosa spinta e popolata soprattutto da piccole e micro imprese meno in grado, quasi sempre, di investire in capitale immateriale. Soprattutto, però, nelle condizioni di contesto, divenute probabilmente, col passare del tempo, più onerose rispetto al passato e più sfavorevoli nel confronto internazionale.
Secondo gli indicatori
Doing business in a more transparent world - 2012, aggiornati al 1° giugno 2011 dalla Banca Mondiale e dall'IFC, l'Italia, su 183 paesi, considerando un insieme di procedure, tempi e costi, si colloca 87
a per facilità nel fare impresa (con una perdita di quattro posizioni rispetto all'anno precedente); 96
a nelle pratiche per un permesso di costruzione; 109
a nell'allacciamento elettrico; 84
a nella registrazione della proprietà; 98
a nell'ottenimento del credito; 65
a nella protezione degli investitori; 134
a nel pagamento delle tasse; 63
a nel commercio transfrontaliero; 158
a nell'esecuzione forzata (
enforcing) dei contratti; 30
a nella risoluzione dell'insolvenza.
La distanza dalla frontiera della
best practice, tra il 2005 e il 2011, per l'Italia, è ancora aumentata, sia pure leggermente.
Anche se si possono far rientrare nelle condizioni di contesto, la regolamentazione dei servizi assume tale rilevanza da meritare un cenno specifico. I fallimenti del mercato richiedono forme di regolamentazione, che è opportuno siano proporzionate alle capacità tecniche e di raccolta delle informazioni di chi è chiamato ad applicarle. Un ripensamento del ruolo e dell'intensità della regolamentazione si è avuto negli anni '90 nei maggiori paesi come conseguenza dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione.
La modificazione dei confini tra attività controllate dalla mano pubblica e quelle lasciate al mercato è stata notevole per le industrie a rete e per i servizi ambientali a causa di: una diversa valutazione dei fallimenti di mercato in seguito ai progressi della tecnologia e agli sviluppi dell'analisi economica; una migliore disamina di forme alternative di regolazione con benefici analoghi a quelli della concorrenza; l'evidenza di alcuni fallimenti delle organizzazioni pubbliche (ad es., interferenza politica, vincoli finanziari, cattura da parte degli
stakeholders più rilevanti, ecc.); vincoli di bilancio alla spesa pubblica.
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