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L'addio alla concertazione tra risanamento e realismo

Concertazione ed economia sociale: la prima tutta italiana, la seconda fondamentale in Germania.

A questa sorta di consociazione tra politica, capitale e lavoro, realizzata a discapito degli equilibri della finanza pubblica e della più elevata produttività del sistema economico che sarebbe, invece, assicurata da una tutela meno sistemica dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, si contrappongono da una parte il modello anglosassone, più dinamico a livello di impresa, e dall'altra quello tedesco basato sulla cogestione in cui il sindacato contratta con la proprietà tutti i processi di gestione del personale. Questi due ultimi sistemi avrebbero il vantaggio di non spostare sulle finanze pubbliche il costo dei servizi e dei benefici che il mondo della produzione non riesce a sostenere.

Il caso della riforma delle pensioni è però emblematico di quanto queste ricostruzioni siano solo teoriche: è stata decisa senza alcuna forma di consultazione con le parti sociali, ha innalzato quasi senza eccezioni la vita lavorativa di due anni per risparmiare sulla spesa previdenziale, sperando che le imprese mantengano il personale anziano in azienda a loro spese. Poi, quando si è trattato di affrontare il tema della riduzione della spesa pubblica, la cosiddetta Spending Rewiew, il Governo ha deciso di prepensionare i dipendenti pubblici con le vecchie regole pur di tagliare gli stipendi.

Nessuno ritiene che la concertazione politica con le parti sociali non si possa rimettere in discussione, sostituendola con la semplice informativa da parte del Governo in ordine ai provvedimenti che intende varare: basta non rimanere tra Scilla e Cariddi, in balìa tra risanamento e realismo.
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