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I Tartari

Arrivano, che facciamo?

Arrivano, che facciamo?

Il giovane tenente Drogo arriva alla Fortezza Bastiani convinto di restarci pochi mesi. È un avamposto di confine tra alte montagne, la prima linea di difesa contro i temutissimi Tartari. Ammaliato dall’atmosfera del luogo, ipnotizzato dalla lenta routine miltare tutti i giorni uguale ed eccitato dall’idea di scontrarsi un giorno con gli invasori, Drogo resterà più di trent’anni in quel luogo irreale. Lo lascerà solo pochi giorni prima di morire e sarà proprio in quel momento che i Tartari, cogliendo completamente impreparati i soldati dell’avamposto ormai stanchi e disillusi, inizieranno la loro invasione.

Nel Deserto dei Tartari, un romanzo del 1940 che ha affascinato almeno due generazioni, Buzzati vola alto, parla delle illusioni della vita, del fluire sempre più veloce degli anni e della battaglia finale, che non è solo quella contro gli invasori, ma, ancora di più, quella contro la morte (nella foto la cittadella di Arg-e Bam, in Iran, dove fu ambientato nel 1996 il film Il Deserto dei Tartari. Il terremoto del 2003 l’ha distrutta).

Il romanzo di Buzzati è anche un’eccellente illustrazione del tema del credersi preparati e del farsi in realtà sorprendere da ciò che a lungo si è atteso. I francesi spendono una fortuna, tra il 1928 e il 1940, per realizzare una complessa linea difensiva sul confine con la Germania, la Maginot. Si faranno poi cogliere totalmente impreparati quando i tedeschi, con la semplice astuzia di passare per il Belgio, si presenteranno davvero.

Il tema dell’attesa e della sorpresa non vale solo nei confronti di ciò che è percepito come ostile. I messianismi, tipicamente, vivono nel tempo dell’attesa. Inizialmente si tratta di un futuro prossimo, ma gradualmente, impercettibilmente, questo tempo futuro diventa prima lontano e poi astratto. Al punto che il Grande Inquisitore, nella leggenda raccontata da Dostoevskij, non riesce a riconoscere il Salvatore ritornato tra gli uomini.

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