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L'abisso

Ora il gioco si fa duro.

Torneo mondiale di Texas Hold’em. Las Vegas.Di che cosa si tratta? In America, come in Giappone, il Tesoro viene autorizzato a indebitarsi fino a un certo limite dal Congresso. Quando questo limite viene raggiunto (e i disavanzi di questi anni sono tali da rendere il processo molto veloce), il Congresso deve dare una nuova autorizzazione. Se non la dà, il governo viene costretto a spendere solo quello che raccoglie con le tasse (come in un mondo ideale dovrebbe essere sempre) e ben presto si trova senza i soldi per pagare gli stipendi ai funzionari pubblici e ai militari, per saldare le fatture ai fornitori e per servire il debito pubblico.

I repubblicani, nell’agosto 2011, acconsentirono a un aumento del tetto per l’indebitamento a patto di fissarne l’entità a un livello tale da richiedere un nuovo intervento del Congresso esattamente in concomitanza con il fiscal cliff, in modo da avere anche loro una pistola da puntare contro i democratici. Si tratta però di un’arma in parte spuntata. Mentre il fiscal cliff scatta alla mezzanotte del 31 dicembre, il default del governo, che teoricamente potrebbe iniziare in gennaio, sarà facilmente rinviato anche di parecchi mesi con artifici contabili.

Come si vede, il gioco del fiscal cliff è come una gara olimpica. Si sa esattamente quando avrà luogo, si conoscono le regole e ci si prepara per anni al grande momento. Si sa anche, molto spesso, come andrà a finire. Ci sono i favoriti, insomma, ma non si può mai avere la certezza assoluta dell’esito. Nel caso specifico, si sa da molti mesi che l’effetto depressivo sul Pil, ad accordo trovato, dovrà essere non del 4 per cento, ma dell’1.5. Si tratterà in pratica di sostituire l’impatto negativo dell’austerità locale, che ha pesato sul 2012, con austerità federale di pari entità, in modo da permettere all’economia di continuare a crescere alla (mediocre) velocità di crociera del dopo crisi, l’1.5-2 per cento.

Su chi dovrà tirare fuori questo 1.5 per cento è scontro aperto. Ogni giorno che passa il rapporto tra tagli di spesa e maggiori tasse si sposta a favore di queste ultime, ma siamo ancora alle prime schermaglie. I repubblicani potranno scegliere il veleno da bere tra la mortale pozione dell’aumento delle aliquote e l’indigesta bevanda del limite alle detrazioni e deduzioni.
Fino a oggi il mondo del dopo crisi ha goduto di una sorta di biodiversità fiscale. L’Europa si è impegnata, fin troppo, sulla strada dell’austerità mentre l’America ha accettato ampi disavanzi. In questo modo, frutto non di un accordo ma di differenti volontà politiche, il mondo è riuscito faticosamente a crescere e ha limitato alla parte debole dell’Europa l’area della sofferenza.
Se il modello dell’austerità fosse stato adottato anche dagli Stati Uniti il mondo sarebbe oggi in recessione. Se il modello americano fosse stato adottato anche in Europa, il debito di Italia e Spagna sarebbe forse salito a livelli insostenibili, anche se la questione è controversa (ci sarebbe infatti stata più crescita e il rapporto debito-Pil, forse, non sarebbe salito molto).
Da qui in avanti l’America sarà con ogni probabilità meno espansiva, quanto meno sul piano fiscale. L’Europa, in compenso, sarà meno restrittiva. Anzi, lo è già.

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