In Europa il debito pubblico continuerà a crescere. Scenderà però il costo degli interessi, perché la Bce interverrà ogni volta che sarà necessario. Come è avvenuto in Giappone e in America, i compratori di titoli di stato si troveranno in mano la carta di un emittente sempre più indebitato che paga un interesse sempre più piccolo. L’economia europea a un certo punto si stabilizzerà, ma la disoccupazione e le sofferenze bancarie, due indicatori ritardati di ciclo, continueranno a crescere.
Abbiamo ricordato questi punti per due motivi. Il primo è che si respira un’aria di incredibile ottimismo. In America l’idea è che, una volta superato questo fastidioso scoglio del fiscal cliff, la strada è sgombra per un’uscita definitiva dalle secche del dopo 2008 e un ritorno graduale ai tempi d’oro. Il secondo motivo è che gli investitori, per tutto questo decennio e per il prossimo, si troveranno premuti dalla fiscalità, dalla repressione finanziaria e forse, a un certo punto, dall’inflazione. Scegliere una strada o un’altra porterà, anno dopo anno, a risultati molto diversi.
Se il quadro strutturale, dunque, è pesante, il 2013 e (probabilmente) anche il 2014 saranno anni relativamente buoni. Poiché siamo disabituati agli scenari positivi, i prossimi due anni ci sembreranno ancora più belli di quello che saranno in realtà.
Questa fase di temporanea remissione della crisi e di apparente guarigione sarà dovuta all’intensificazione delle politiche monetarie espansive e al fatto che l’inflazione non costituirà un problema.
L’inflazione non viene dal cielo, ma ha storicamente due strade d’ingresso. La prima è l’inflazione salariale, che certamente non vedremo in Europa e nemmeno in America, finché la disoccupazione non sarà scesa sotto il 6-6.5 per cento. La seconda è costituita dalle materie prime, in particolare dalle fonti di energia.
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