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I mirabili passi indietro dell’industria europea

I mirabili passi indietro dell’industria europea

La possente macchina dell’industria tedesca, modello per tutta l’Europa, produce oggi esattamente quanto produceva nel 2006. Anche negli Stati Uniti siamo ai livelli dell’inizio del 2006, ma le prospettive per il manifatturiero americano nei prossimi anni sono eccellenti, mentre in Germania sono solo discrete.

L’industria francese è tornata al 1997, l’anno del governo Jospin. È in crisi nera la cantieristica, la siderurgia sarebbe da nazionalizzare ma non ci sono i soldi. L’auto affonda e il governo sta rassegnandosi a massicci licenziamenti e chiusure di fabbriche. Il nucleare è l’ombra di se stesso e i TGV non sono più competitivi con i treni coreani e cinesi.

L’industria spagnola è arretrata sui livelli del 1994, l’anno in cui il paese era ancora governato da Felipe Gonzalez. Il manifatturiero italiano si spinge indietro fino al 1986.

Curiosamente, il 1986 è l’anno di pubblicazione di Faut-il refuser le développement?, il libro di Serge Latouche in cui si teorizza l’arresto dello sviluppo. La critica radicale al capitalismo avanzato e ai falsi bisogni della società consumista era stata avviata nell’opulenta California dei rilassati anni Sessanta, ma l’homo ludens invocato allora da Marcuse, una volta sbarcato in Europa, diventa con Latouche e la sua decrescita sempre più sfiorito e avvizzito.

(Nella foto Herbert Marcuse a San Diego negli anni Sessanta.)

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