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Un'Italia debole: poche grandi imprese ma senza alternative

Tutto è questione di numeri, di dimensioni e di proporzioni: quando in uno Stato, come accade in Italia, c'è un solo grande gestore ferroviario, una sola compagnia aerea di bandiera che non opera nel segmento low-cost, ancora un oggettivo monopolista delle rete fissa di telecomunicazioni, un solo gruppo industriale impegnato in campo automobilistico, un unico gruppo integrato nel settore petrolifero, per non parlare delle poste, appena due gruppi bancari di livello europeo e forse poco più che altrettanti nel settore assicurativo, per non parlare dei media dove la concentrazione nella carta stampata e nella televisione supera di poco il duopolio, il problema principale non è rappresentato solo dal modello di concorrenza insufficiente e dalla scarsa motovazione allì'innovazione, ma dalla impossibilità oggettiva di assorbire i danni derivanti da errori strategici del management ed ancor più da eventi penalmente rilevanti che colpiscano i vertici aziendali.

In Italia manca il back-up, il solvente, la capacità del sistema economico e sociale di assorbire correttamente lo schock determinato dall'errore di pochi soggetti. Manca la possibilità di un ricambio, perché non ci sono alternative: quando una grande impresa è in grave difficoltà non abbiamo la prospettiva di una distruzione creatrice, di un dissolvimento capace di rimettere in moto l'attività di altri progetti imprenditoriali che subentrano a chi sbaglia occupando lo spazio economico lasciato vuoto, ma unicamente della implosione. Quando invece c'è una ampia pluralità di operatori dimensionalmente rilevanti ed omogenei, non sempre c'è collusione: non tutti scelgono una strategia conservativa. C'è chi pretende di essere il first mover, chi magari si attarda, mantre qualcun altro ancora sceglie una soluzione diversa. E' una pluralità di situazioni in cui gli errori dell'uno sono compensati dagli altri.

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