L’euro, dunque, non ha molto tempo per mostrare di essere qualcosa di più di uno strumento per fare follie prima e penitenze senza fine più tardi. La Merkel, che ha un grande senso del timing e un’eccellente percezione del momento in cui la corda tirata rischia davvero di spezzarsi, ha compiuto una prima spettacolare ritirata in agosto con l’accettazione della mutualizzazione del debito attraverso la Bce e ne sta compiendo una seconda, altrettanto spettacolare, sulla politica fiscale dei paesi mediterranei in crisi, cui vanno aggiunte Francia e Olanda in stagnazione. L’austerità è finita, gli obiettivi di disavanzo sono stati spostati in avanti nel tempo e tutto fa pensare che non verranno nemmeno rispettati.
Il motore fiscale della stabilizzazione (e di una debole ripresa) è dunque già partito, ma la crisi che ci portiamo dietro produrrà ancora, inerzialmente, effetti ritardati particolarmente sgradevoli, come l’aumento della disoccupazione in Italia nei prossimi mesi.
È probabile che riusciremo ad attraversare questi mesi di transizione senza strappi irreversibili. È probabile dunque che alla fine l’euro tenga, anche perché le classi dirigenti europee non hanno un piano B o ne hanno comunque paura.
Per chi investe questo delicato periodo dovrà essere affrontato diversificando prudenzialmente fuori dall’Europa. Non c’è nessun bisogno di farsi prendere dalla paura o di fare le cose in fretta. Si può procedere ordinatamente, vendendo un po’ di Europa nei momenti favorevoli e comprando Asia e America su ribasso.
Ripetiamo. La scommessa è che l’euro tenga e che l’economia europea si stabilizzi (probabilmente si sta già stabilizzando). Si tratta solo di non farsi trovare troppo impreparati nel caso questa scommessa si rivelasse sbagliata.
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