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Continua la farsa delle riforme costituzionali

Ridurre il numero dei parlamentari, superare il bicameralismo perfetto, semplificare il sistema, renderlo più efficiente, ridurre i costi della politica. E' il leitmotiv che sentiamo ripetere quasi ogni giorno.

Dice la Commissione che la scelta del bicameralismo differenziato è coerente con le questioni relative alle attribuzioni delle competenze. L'opinione dominante in questi ultimi anni è che nell'art. 117 della Costituzione novellato nel 2001 ci siano troppe competenze concorrenti tra Stato e Regioni e, per questo motivo, si sarebbe prodotti da un lato una paralisi decisionale del governo centrale e dall'altro un eccesso di conflitti di attribuzione tra il governo centrale e le Regioni.

Io non condivido questa opinione e ritengo che le competenze concorrenti che esistono negli USA e nelle Repubblica federale tedesca non producono le disfunzioni che causano da noi. Queste dipendono in primo luogo dal modo disordinato e alluvionale con cui legifera in primo luogo il legislatore nazionale. In ultima analisi è una questione di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo. È una questione di comportamenti responsabili da parte di tutti i soggetti istituzionali coinvolti nei processi decisionali.

In ogni caso la Commissione si è orientata sull'obiettivo di ridurre consistentemente le competenze concorrenti, muovendosi verso un'ipotesi di competenze chiaramente distinte e separate. Da economista, sostengo che tale scelta non sia corretta perché confligge con due criteri ordinatori di un genuino modello federalista.

Il primo è il principio di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione secondo cui il livello superiore di governo può e deve fare solo quello che il livello di base (il Comune) non riesce a fare per via delle dimensioni, della mancanza di risorse o della natura del problema da risolvere. Ma se correttamente si coniuga il principio di sussidiarietà con quello dell'ottima dimensione della giurisdizione, si intuisce che per una serie di servizi l'ambito territoriale ottimale può non coincidere con la giurisdizione amministrativa del Comune, della Provincia e della Regione.

Un caso di scuola è quello dei trasporti locali che implicano forti interdipendenze e stretto coordinamento all'interno dei bacini di utenza. Certo si possono costituire dei Consorzi o delle Unioni con territori di dimensione ottimale ma questo, per l'appunto, implica che le attuali giurisdizioni amministrative possano intervenire in un processo decisionale comune e che siano dotate di sufficiente autonomia finanziaria. Non a caso l'art. 116 novellato nel 2001 prevede al c.d. geometria variabile, ossia, la possibilità di prevedere oltre alle Regioni a statuto ordinario, quelle a statuto speciale, oltre ai comuni e alle province le aree metropolitane, "ulteriori forme e condizioni di autonomia proprio per le materie di competenza concorrente ed esclusiva delle regioni".

Delle due l'una: o sbagliò maldestramente il legislatore del 2001 o sbagliano gli esperti del 2013. Secondo me, vale la seconda ipotesi. Intanto il Paese resta in mezzo al guado perché non sappiamo se attuare sul serio il federalismo e coglierne tutte le implicazioni in chiave di riforme amministrative - come fa correttamente la Commissione - oppure tornare indietro verso un rinnovato assetto centralizzato. A 12 anni dalla riforma del 2001, sembra prevalere ancora una volta la linea del rafforzamento del governo centrale in controtendenza con quanto sta avvenendo a livello mondiale e nella Unione europea.

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