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Geopolitica

Economia e mercati vanno bene, ma il resto?

L'arretramento della superpotenza americana risolve dunque molti problemi, ma ne apre altrettanti. Israele e l'Arabia Saudita si sentono molto meno sicuri di prima e si preparano allo scenario peggiore. La Francia in stagnazione si infila intelligentemente nel vuoto lasciato dall'America, assume un profilo duramente anti-iraniano e in questo modo assicura alla sua industria pubblica enormi commesse per la costruzione a tappe forzate del nucleare saudita (ufficialmente civile, naturalmente, come quello iraniano) e per la riorganizzazione completa (pagata dai sauditi) dell'esercito libanese, impegnato nel contenimento delle forze filoiraniane di Hezbollah. Israele tiene le sue carte rigorosamente coperte.

L'incognita nuova dell'area è la Turchia. Il think tank Eurasia la mette tra i grandi rischi geopolitici del 2014.

The Sleepwalkers, Christopher ClarkCome la Germania guglielmina e la Cina denghista, anche la Turchia di Erdogan ha avuto una crescita impetuosa e ha iniziato a coltivare programmi di espansione politica ed economica straordinariamente ambiziosi. Questi piani (si veda Limes di luglio, I Figli del Sultano) si sono articolati su direttrici neo-ottomane (l'attenzione ai Balcani, al Maghreb e alla Somalia), panislamiche (l'ipotesi di restaurazione del califfato globale) e panturaniche (l'attenzione verso l'immensa area turchesca dell'Asia centrale, che si spinge fino allo Xinjiang cinese e alla Jacuzia siberiana).

Dal 2011 questa strategia ha incontrato ostacoli sempre più alti. I Fratelli Musulmani, sponsorizzati da Ankara, hanno perso l'Egitto e mezza Libia e sono ovunque sulla difensiva nei confronti dell'espansione salafita sponsorizzata dai sauditi. Si sono deteriorati i rapporti con la Siria, con Israele, con l'Europa e con gli Stati Uniti (solo con i curdi sono decisamente migliorati).

Alla fine i contrasti sono esplosi a livello domestico. Con la crisi di Gezi Park, lo scorso giugno, si è perso definitivamente il contatto con la Turchia laica. Con gli scandali delle ultime settimane si è consumata una rottura potenzialmente fatale con la confraternita islamica dei gulenisti, che controlla polizia e magistratura. I gulenisti, moderati verso Israele ma molto aggressivi nella pratica del potere, sono appoggiati dagli Stati Uniti, che cercano in questo modo di limitare la forza di Erdogan. È un gioco molto rischioso, perché può fare precipitare la Turchia in una situazione caotica di governi deboli e di coalizioni litigiose.

La Turchia, in questi anni, ha finanziato la sua crescita con capitali finanziari esteri. Il forte disavanzo delle partite correnti la rende sensibile verso una crisi di fiducia dei mercati. A fronte di questi problemi stanno la grande capacità di manovra di Erdogan e l'interesse americano a non forzare troppo la mano nei suoi confronti. La borsa di Istanbul è scesa a livelli di valutazione molto interessanti e basterebbe una tregua politica prima o dopo le elezioni di primavera per farla risalire. La situazione resta però molto fluida e il paese che faceva da pilastro di stabilità nella regione rischia oggi di esportare instabilità.

(Nella foto: Come sonnambuli nell’abisso)
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