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Del vizio e della virtù

Dollaro ed euro, cicale intelligenti e formiche così così

Il modello di business americano e quello tedesco sono davvero profondamente diversi. Gli Stati Uniti sono un gigantesco hedge fund che si indebita con l'estero con cambiali senza interesse (e che perdono in realtà valore grazie all'inflazione) e investe il ricavato in fabbriche e reti di servizi in giro per il mondo. La pazzotica (apparentemente) legislazione fiscale tassa pesantemente i profitti fatti all'estero dalle società americane e poi rimpatriati mentre li lascia indisturbati se rimangono fuori. Le imprese si adeguano. I sindacati dicono che questo toglie posti di lavoro agli Stati Uniti e li regala all'Asia. Da anni si discute sull'opportunità di aprire una breve finestra fiscale e lasciare rientrare senza tasse i soldi che le imprese tengono all'estero, a patto che vengano reinvestiti in attività produttive in patria. Se ne parla molto ma alla fine, saggiamente, non se ne fa nulla. In questo modo l'America ha costruito una parte imponente del suo apparato produttivo e di distribuzione nei mercati che crescono più in fretta.

Si noti che l'America, dipinta spesso con il cappello a cilindro e le ghette del finanziere avido, è in realtà, in larga misura, un cassettista di azioni di società industriali che costruiscono pazientemente la loro presenza nel mondo. Queste azioni, ovviamente, si apprezzano nel tempo. L'America cassettista diventa più dinamica solo sui massimi e sui minimi di borsa. Nel 2000, ad esempio, ha venduto a prezzi folli parecchie società dell'alta tecnologia a compratori tedeschi e francesi. Oggi si compra azioni di banche italiane. Nel 2007 e 2008 ha venduto anche molti titoli tossici al resto del mondo, che era peraltro maggiorenne e faceva la fila per comprarli.

Il risultato, innegabilmente brillante, è che l'America vive al di sopra dei suoi mezzi, ma grazie ai suoi redditizi investimenti permanenti in giro per il mondo e al suo moderato ma efficacissimo trading, riesce sempre a tenere sotto controllo il suo debito estero, che nei prossimi anni continuerà a scendere.

La Germania, come è noto, vive al di sotto dei suoi mezzi. Ogni anno, nei suoi traffici con l'estero, mette da parte il 6 per cento del suo Pil, il triplo della Cina. I tedeschi sono fatti così e non da oggi. Già ai tempi di Bismark, appena unificati, avevano la passione per i surplus delle partite correnti. Non avevano colonie, se non qualche pezzo poverissimo di Africa, e quindi mancavano di quei mercati naturali di sbocco che gli inglesi avevano in India o in Canada e i francesi nel loro vasto impero. I tedeschi quindi, per esportare, dovevano essere competitivi sul serio.

I vincitori della prima guerra mondiale, chiedendo enormi riparazioni, costrinsero la Germania a diventare ancora più competitiva per potere pagare i debiti di guerra. I tedeschi all'inizio ci provarono, ma poi sappiamo come finì.

Il 6 per cento di surplus, anno dopo anno, diventa una montagna di soldi. La Germania ne usa un terzo per costruire fabbriche in Slovacchia, in Polonia o in Cina, ma due terzi rimangono liquidi. Che fare di tutti questi soldi?

La prima soluzione, semplicissima, sarebbe di eliminarli rivalutando. La Germania è però profondamente mercantilista ed è orgogliosa del suo apparato industriale. Una rivalutazione ne limiterebbe la competitività e quindi la crescita. Restare nell'euro, con la zavorra mediterranea che limita la naturale rivalutazione che subirebbe invece un marco restaurato, è dunque essenziale.

Una seconda soluzione sarebbe quella di accumulare riserve presso la Bundesbank, che le investirebbe in titoli americani, giapponesi o cinesi. Questi titoli renderebbero pochissimo, ma un mercantilista non punta a fare soldi ma a conquistare quote di mercato. Le regole europee impediscono però la costituzione di grandi riserve valutarie su scala nazionale.

Una terza soluzione sarebbe quella di creare un grande fondo sovrano che compra azioni all'estero. Lo fanno ormai quasi tutti i paesi in surplus. I fondi sovrani servono a non fare salire il cambio e a mettere da parte qualcosa per le future generazioni. Se gestiti bene, permettono anche di fare soldi. La Germania, tuttavia, non è il Qatar e non sarebbe sempre benvenuta se si presentasse come stato nazionale ad acquistare aziende straniere.

(Deflazione? Black Fire I di Barnett Newman, nella foto, è stato acquistato martedì per 84.2 milioni di dollari)
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