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Italia non è più tempo per Arlecchino e Pulcinella

La sfida che abbiamo di fronte come paese, ma potremmo dire, come contesto globale è capire quali siano le radici di una crisi che sembra avvitarsi in un "loop" senza fine.

Siamo entrati a fare parte del basket di sperimentazione dell'euro anche se non eravamo a posto con i parametri di Maastricht, anzi eravamo lontani – il rapporto debito/PIL era al 122% contro il 70% previsto... - ma l'idea che almeno uno dei parametri fosse a posto ci ha consentito di entrare. Il rapporto deficit/PIL è stato determinato solo sul saldo di cassa così, rinviando da agosto del 2000 le uscite all'anno successivo, siamo stati sotto al 3% del rapporto, ma in compenso abbiamo rinviato i pagamenti agli anni successivi.

Nel 2001, il primo anno dell'euro, avevamo un debito di 1350 mld di euro ed oggi, nonostante "il rigore dei controlli" del patto di stabilità, ci avviciniamo ai 2200 mld con un aumento in 13 anni di quasi il 60%; se consideriamo i bassi tassi di interesse del periodo considerato – stimabili in una media del 2% - rispetto a quelli del decennio precedente figurativamente abbiamo raddoppiato il debito. L'aumento del debito è da attribuirsi in particolare all'aumento delle spese correnti per sostenere il consenso, ma non per investimento; paradossalmente abbiamo aumentato il debito pubblico peggiorando la sua qualità ed efficacia. Questo è colpa nostra o della Germania e delle regole europee che noi abbiamo sistematicamente aggirato così come i dettati costituzionali che prevedono il pareggio di bilancio?

I sistemi di controllo sono stati labili, pensati da una cultura burocratica lontana anni luce dalla realtà del paese. Così ci siamo inventati un patto di (in)stabilità orientato da un modello centralistico pensato su un principio di uniformità in un paese da secoli profondamente diverso per storia, cultura, tradizioni nei territori che lo compongono. Un'irrazionalità stridente che stiamo pagando amaramente perché "si accompagna ad una palese irresponsabilità finanziaria. Chi spende non risponde del livello complessivo di tassazione e parallelamente chi produce servizi vede spesso le leve d'azione bloccarsi per effetto del controllo sotto forma di tetti di spesa. I non-sistemi di controllo generano alti costi sociali (complessità delle procedure amministrative, ritardi sulla programmazione territoriale, scarsa trasparenza contabile) e bassi benefici" scrivevamo nel "Il patto di lucidità" del 2008; che facili profeti siamo stati!

Ma da allora siamo pervicacemente rimasti sulla linea dell'"illucidità" scontentando tutti: il nord che produce ed arranca e vede i trasferimenti perequativi bruciati per il consenso e per gli interessi particolari. Il problema è di fronte a tutti nella sua evidenza, ma si continua ad ignorarlo. Non si riesce ancora a capire se siamo un paese federale, come è nella realtà, o centrale come pensato dalle amministrazioni centrali che non si capiscono più con quelle locali, un paese che sta o non sta in Europa. Abbiamo una storia piena di compromessi e di furbizia degli Arlecchino e dei Pulcinella che ci rende poco credibili agli occhi di chi ha principi rigidi. Chi propone l'uscita non si rende conto che una volta avviata la "balcanizzazione" non si ferma più; eppure l'abbiamo visto vicino a noi negli anni passati. Se non siamo in grado di risolvere l'assetto istituzionale a tendere del paese è colpa dell'Europa e della Germania o solo nostra?

Il paese da trent'anni non produce più cultura vera, ma vive di quella della rendita che brucia ricchezza ma non la crea, il debito pubblico ne è la palese dimostrazione; il principio del merito di cui tutti parlano è spesso solo quello dell'appartenenza così è più facile governare il sistema ed evitare i controlli. Abbiamo favorito ed incentivato l‘habitat naturale per il "moral hazard" corruttivo senza vergogna a tutti i livelli. Abbiamo avuto governi di tutti i tipi: dei politici, dei tecnici, di solidarietà nazionale, di larghe intese, del fare e del dire (più dire che fare), delle pari opportunità, delle riforme e degli slogan. Ma tutti hanno, in modo diverso, contribuito al peggioramento continuo degli equilibri sociali, economici e finanziari. Ma anche qui di chi è la colpa?
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