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Correzione dovuta

Riavvicinare le aspettative alla realtà

In un angolo buio e polveroso del deposito del trovarobe, sempre dietro le quinte, si svolge la vicenda greca, quella che nelle stagioni 2011 e 2012 aveva monopolizzato la scena, restando in cartellone per molti mesi di seguito. I mercati questa volta non hanno dato nessun peso alla vicenda, che per molti aspetti è più preoccupante di allora, e non hanno usato nemmeno quel minimo di prudenza generica che si usa di solito per problemi anche meno gravi. Anche l’imminente default ucraino, nel suo piccolo (ma neanche tanto, visto il pozzo senza fondo che sta diventando quel paese), è passato completamente inosservato.

Detto questo, ammesso quindi che nel rialzo delle borse c’è stata una componente di schiuma destinata presto o tardi a ritirarsi, non vediamo per il momento motivi per cambiare l’impostazione di fondo dei portafogli.

La città vecchia di Aden, YemenCerto, il grido di dolore della Yellen sul dollaro ha interrotto il circolo virtuoso che si stava creando in Europa tra svalutazione dell’euro e bull market azionario. Ora tutto andrà più piano e, in una prima fase, anche all’indietro. Il grande schema è però sempre lo stesso.

L’America non adora il dollaro forte, ma se ne fa una ragione. Da una parte la forza del cambio aiuta a rinviare il rialzo dei tassi, dall’altra aiuta a rimettersi in piedi il resto del mondo. Da parte americana non c’è generosità, ma un calcolo razionale sui benefici di lungo termine di un mondo meno squilibrato. I tassi negli Stati Uniti saliranno, certo, ma solo se e quando risalirà l’inflazione, in modo da mantenere rigorosamente a zero i tassi reali, una condizione eccezionalmente espansiva con il ciclo di crescita entrato ormai nel suo settimo anno di vita.
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