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Fronte del porto

Dai profitti ai salari, il pendolo inizia a cambiare direzione

Non ci è invece capitato di vedere commenti sul fatto che quello dei portuali è il primo grande sciopero del dopo-crisi. Basta infatti una rapida ricerca per notare che i grandi scioperi, una costante regolare nella storia americana, si sono fermati nel 2007-2008, quando vennero bloccate General Motors, Chrysler e Boeing. L’ultimo, epico per la sua durezza, fu quello dei 12mila sceneggiatori della radio, del cinema e della televisione. Durato quattro mesi, provocò per tutto il 2009 un drastico calo nel numero di film distribuiti nelle sale di tutto il mondo e l’accorciamento, a volte il dimezzamento, del numero di puntate delle serie televisive. Nelle serie del 2009, se ci avete mai fatto caso, l’ultima puntata è zeppa come un uovo di avvenimenti e colpi di scena perché quattro mesi di storie hanno dovuto essere concentrati in una settimana.

Dopo lo sciopero degli sceneggiatori, più nulla per sei anni.

Fronte del portoLa lunga pace sociale dei sei anni passati si spiega naturalmente con la debolezza dei sindacati, che l’amministrazione Obama ha cercato inutilmente di rafforzare in tutti i modi possibili. La cosa è perfettamente spiegabile nel contesto di disoccupazione dilagante, così come è invece normale che la pressione sindacale raggiunga il massimo quando c’è piena occupazione (come è stato il caso nel 2007-2008).
Lo sciopero dei portuali californiani ha dunque un elevato valore simbolico perché segna l’inizio di un nuovo ciclo in cui al Pil di uno o due trimestri all’anno capiterà di essere “sorprendentemente” colpito da un’esogena sindacale.

Ora, se mettiamo insieme lo sciopero, l’aumento delle retribuzioni orarie minime (deciso anche da stati repubblicani), le grandi catene di distribuzione che aumentano i salari spontaneamente per non perdere i dipendenti e la disoccupazione scesa in sei anni dall’11 al 5.5 per cento, vediamo che la vecchia talpa del ciclo economico ha ben scavato e ora sta spuntando in superficie.
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