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Fronte del porto

Dai profitti ai salari, il pendolo inizia a cambiare direzione

In questi anni del dopo-crisi abbiamo sentito due grandi narrazioni. La prima ci ha costantemente ricordato che i cicli economici ci sono ancora. La seconda ci ha invece detto che questa volta siamo dominati dal ciclo del credito, ancora orientato verso un deleveraging così potente da neutralizzare il ciclo economico ordinario.

Gli esponenti della prima scuola di pensiero si sono a loro volta divisi in due correnti. Quelli con gli occhiali neri ci hanno costantemente avvertito dell’imminente rialzo dell’inflazione e dei tassi (mai avvenuto). Quelli con gli occhiali rosa ci hanno costantemente parlato di un’imminente forte accelerazione dell’economia (mai verificatasi).

Brando tra gli altri portualiGli esponenti della seconda scuola di pensiero, quella del ciclo del credito, si sono anche loro divisi in correnti. La Banca dei Regolamenti Internazionali, vagamente ispirata alla scuola austriaca, ha sostenuto che la zombificazione delle banche e del debito sovrano attraverso il Quantitative easing continuerà a non cavare un ragno dal buco (uno studio recente della Bri quantifica soavemente nello 0.13, cioè nulla, per cento la diminuzione di disoccupazione causata dal Qe).

I keynesiani alla Krugman o alla Koo sostengono dal canto loro che a rendere vano il Qe sono gli spiriti animali a zero e che solo la spesa pubblica, non la politica monetaria, rilancerà sul serio il ciclo economico.
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