Dove sta il problema, allora? Sta nel fatto che molti di quelli che escono dall'equity o non ci sono voluti mai entrare non hanno abbastanza chiara la
differenza tra bond e cash (per cash non intendiamo il conto corrente o il certificato di deposito, ma un titolo fino a 12 mesi di un emittente, governativo o corporate, assolutamente sicuro).
In un mondo che nei prossimi anni diventerà più turbolento, i bond si troveranno di fronte tre rischi.
Il primo, quello che li accomunerà tutti, è il
rischio di aumento dei tassi. Il mercato non ha, su questo le idee chiarissime. Come fa notare Jacques Cailloux, a metà aprile (a
Qe europeo già a pieno regime) gli operatori professionali dichiaravano di aspettarsi il primo rialzo da parte della Bce fra 60 mesi, oggi se lo aspettano fra 29 mesi (l'indice è disponibile sulla pagina Bloomberg MSM1KEEU). La stessa rilevazione indica il primo rialzo per l'America fra sette mesi. Giuste o sbagliate che siano queste aspettative, è evidente che i tassi, oggi a zero, potranno solo salire.
Il secondo rischio cui vanno incontro i bond è quello di credito. Con i tassi a zero e la liquidità creata dalle banche centrali tutti sono capaci di rifinanziarsi ed è quindi ovvio che gli spread di credito siano oggi così compressi. Nei prossimi anni, a tassi normalizzati, la selezione naturale tra emittenti sani ed emittenti deboli riprenderà a funzionare e penalizzerà pesantemente i deboli.
Il terzo rischio è che
alla prossima crisi i bail-in sostituiranno i bail-out. Gli emittenti, in altre parole, non saranno più salvati dai contribuenti ma da obbligazionisti e depositanti. L'azionario è abituato a essere sacrificato per primo in caso di crisi fin dai tempi in cui i galeoni carichi di merci affondavano negli oceani e azzeravano così l'investimento dei soci che avevano finanziato l'impresa. L'equity quindi incorpora sempre, nel suo prezzo, il rischio di azzeramento, gli altri strumenti no.
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