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Il test di Turing

Ai computer il trading, agli umani il quadro generale

Collegatevi con una telescrivente (Turing scrive nel 1950 e non può ancora usare Siri) con un essere umano e con un computer chiusi in un'altra stanza e impossibilitati a comunicare tra loro. Ponete a entrambi la stessa domanda e aspettate la loro risposta. Quando non riuscirete più a distinguere quale delle due risposte è stata data dall'uomo e quale dalla macchina vorrà dire che l'intelligenza artificiale avrà raggiunto il livello di quella naturale.

Trent'anni più tardi, nel 1980, il filosofo John Searle cerca di ridimensionare il test di Turing e propone l'esperimento mentale della Stanza Cinese. Sono chiuso in una stanza, dice Searle, e sullo schermo del computer vedo comparire un messaggio in cinese seguito da un punto interrogativo. Io ignoro completamente il cinese, tanto scritto quanto parlato, ma ho a disposizione un quaderno di regole che mi spiega che a un certo insieme di ideogrammi disegnati in un certo modo devo rispondere con un certo altro insieme di ideogrammi. Se copio la risposta e la invio, nell'altra stanza penseranno che conosco bene il cinese, perché ho capito la domanda e dato una buona risposta. In realtà, però, io non ho la più pallida idea di quello che mi è stato chiesto né tantomeno di quello che significa la risposta che ho mandato. L'intelligenza artificiale, quindi, non è vera intelligenza, perché non comprende il senso. È sintassi, ma non semantica.

Dal 1980 a oggi il test della Stanza Cinese è oggetto di furiose polemiche nei mondi rarefatti della filosofia della mente, delle scienze cognitive e dell'intelligenza artificiale. I critici di Searle sostengono che anche noi non siamo altro che machine e che la capacità di contestualizzare, tipica caratteristica umana, può essere benissimo insegnata alle macchine. Searle, dal canto suo, mantiene ferme le sue posizioni.


Nella foto: Benedict Cumberbatch interpreta Alan Turing nel film The Imitation Game (2014).
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