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Il “Monopoli” globale della Finanza e la Grecia

"Tanto tuonò che non piovve" dovrebbe essere il commento per la chiusura provvisoria della crisi greca ma sembra non sarà così

Il problema parte da lontano, ma sta diventando sempre più violento e per certi aspetti drammatico, una sorta di "Armageddon" tra finanza e società, perché l'attacco del pensiero unico neoliberista agli stati con l'arma della finanza ha separato la politica dal potere che le è divenuto sovraordinato ed i paesi dalla ricchezza finanziaria che riesce a sottrarsi ai controlli nei paesi black-list e da lì, con una concentrazione senza pari nella storia, muove le sue pedine nel gioco indifferente rispetto ai disastri sociali, umani e morali che produce.

Papa Francesco denuncia lo scontro tra economia e finanza e la società dell'uomo che ne viene soffocata, nella sua recente enciclica: "La politica non deve sottomettersi all'economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l'economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche ("banche d'affari", ndr), facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l'intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura" ("Laudato sì" , 195, 2015); Grecia docet.

La passività della politica e la resistenza al cambiamento è esemplare nella provenienza dei candidati alle prossime elezioni Usa: la moglie di un ex-presidente, Hillary Clinton, ed il fratello di un ex-presidente, Jeb Bush. Sono intercambiabili, è diverso solo il genere, maschile e femminile, bisogna andare sull'usato sicuro. Così, fa specie sentire la candidata democratica, nel momento in cui sono in corso i negoziati sul nucleare iraniano dichiarare la sua disponibilità, come futuro presidente, a prendere in considerazione la guerra all'Iran. Gli Usa rappresentano oggi il palese offuscamento della democrazia a causa della sottomissione della politica al potere economico e finanziario; dal 1990 le spese elettorali sono esplose, come le lobbies, gli studi legali ed il numero di corporations che hanno sede a Washington (v. Robert Reich, "Supercapitalismo" 2008), la legge "Citizen United" del 2010 consente agli amministratori delle corporations di finanziare le campagne elettorali illimitatamente e senza renderne conto agli azionisti. Il legame tra politica e business si è fatto sempre più stretto al punto da condizionare la sudditanza della politica che deve poi fare gli interessi dei sui finanziatori. Purtroppo il contesto non è diverso negli altri paesi ed anche noi non sfuggiamo, drammaticamente, alla regola.

Non siamo arrivati a questa crisi per caso o per eventi naturali, ma seguendo un percorso culturale evolutivo, questa crisi è antropologica, che parte da lontano nella storia ma si è progressivamente accelerata negli ultimi 40 anni portando la finanza, in modo del tutto innaturale ed ascientifico, al sommo della nostra vita. I problemi iniziano di fatto nel 1971, quando il dollaro viene sganciato dalla parità aurea – 28 dollari ogni grammo d'oro - e il mondo precipita in uno tsunami della moneta e della finanza che si staccano dall'economia reale rendendo impossibile determinare il valore delle crescenti masse monetarie che cominciano a circolare in modo sempre più vertiginoso. La moneta passa dall'avere un valore come unità di misura dello scambio ad avere un suo valore come tale, contraddicendo due millenni di pensiero e di storia a partire da Aristotele che per primo lo aveva logicamente definito.
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