La risposta sta nel posizionamento del mercato, arrivato in agosto lanciato come un treno sovrappesato di rischio. E si può d'altra parte chiamare efficiente un mercato che ha segnato i massimi storici azionari durante un trimestre, il primo, di crescita americana vicina a zero e di utili in discesa rispetto all'anno precedente?
Anche la ripresa di ottobre, del resto, è stata dovuta non a un miglioramento dei fondamentali, che sono oggi gli stessi di agosto tanto in
Cina quanto nel resto del mondo, ma al posizionamento diventato, nell'isteria tardoestiva, profondamente sbilanciato in senso negativo.
Sul
petrolio la cosa è stata particolarmente evidente. Il
recupero da 42 dollari a 50 sul Wti è stato dovuto esclusivamente a flussi finanziari (ricoperture di corti e incaute aperture di posizioni rialziste) mentre nulla, assolutamente nulla, è cambiato in termini di domanda e di offerta fisica (al modesto taglio della produzione americana ha infatti corrisposto l'aumento del resto del mondo), al punto che negli ultimi giorni il prezzo si è rapidamente riavvicinato al punto di partenza.
In pratica possiamo dire che
in agosto e settembre i mercati se la sono suonata e cantata da soli, costruendosi dapprima un crollo cinese e una recessione globale (con annesso un incongruente rialzo dei tassi americani) che non ci sono stati e poi una riaccelerazione globale (con altrettanto incongruente rinvio sine die del
rialzo dei tassi americani) di cui francamente non si è vista traccia. Lungi dal rispecchiare la mediocre realtà, i mercati se ne sono inventata una terribile in agosto e poi una in rosa in ottobre.
Le stesse esagitate reazioni si sono avute a livello settoriale sull'
auto europea nelle settimane passate (effetto Lehman, fine dell'auto) e si stanno verificando in questi giorni sul
farmaceutico americano (fine del modello di business, fine dell'innovazione e della profittabilità).
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