E perché
se Draghi pilota l'euro verso il basso è bravo e brillante, mentre
se lo fa la Cina (per molto meno) è segno di panico e di crollo imminente?
La nostra impressione è che la Cina riuscirà a gestire tutte le trasformazioni strutturali su cui si è impegnata. Economisti che da anni seguono costantemente la Cina come Donald Straszheim di Evercore o Diana Choyleva di Lombard Street sono oggi cautamente positivi dopo essere stati negativi fino a qualche mese fa.
Quello su cui però
la Cina non ce la farà da sola è la difesa del cambio. Come nota Alan Ruskin di
Deutsche Bank, se una modesta svalutazione cinese è un problema globale anche la soluzione dovrà essere globale. Ruskin fa proposte stimolanti, come un Qe americano in cui la Fed acquista renminbi con dollari stampati di fresco. Servirebbe a moderare la voglia di dollari, sazierebbe la voglia di diversificazione cinese e darebbe una nuova giovinezza al Qe, dirottandolo dai Treasury già abbastanza cari a un renminbi che, a ben vedere, non è affatto sopravvalutato.
In attesa di soluzioni audaci per alcune delle tensioni valutarie del mondo accontentiamoci (e non è poco) delle aperture di Draghi per un ampliamento del Qe europeo e del tono sommesso con cui la Fed annuncia che i futuri rialzi dei tassi torneranno a essere condizionati dai dati macro. O crescita sostenuta e allora rialzi, o crescita debole e allora niente rialzi. Dovrebbe essere abbastanza per stabilizzare mercati molto nervosi. Nel frattempo cambi stabili, renminbi incluso.
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