Il secondo motivo che può spiegare una Fed ultraespansiva è che l'accelerazione dell'economia americana che si era vista in febbraio sembra essersi bruscamente esaurita. La
Fed di Atlanta, che ha prodotto un algoritmo che calcola la velocità istantanea del Pil sulla base dei dati macro che vengono via via pubblicati,
ha bruscamente abbassato la stima sul primo trimestre, portandola in una sola settimana dall'1.4 allo 0.6 (era sopra il due tre settimane fa). Quello di Atlanta è un sismografo ipersensibile, che reagisce istantaneamente a dati che verosimilmente saranno rivisti, ma è un campanello d'allarme che non può essere ignorato del tutto.
I mercati hanno ovviamente reagito bene alla svolta della Fed. Paradossalmente
chi ha reagito meno di tutti è stato il contratto future sui Fed Funds, che si è mosso pochissimo perché già si attendeva un solo rialzo da qui a fine anno. Anche per le borse e i corporate bond, del resto, la ragione del rafforzamento non sta tanto nel numero di rialzi dei tassi che si profilano all'orizzonte, quanto nella rilegittimazione della loro forza da parte di una Fed che non li vede più come pericolosamente cari.
L'
Europa ha da perdere qualcosa dall'euro di nuovo tonico, che penalizzerà gli utili e i ricavi fatti all'estero proprio nel momento (siamo a fine trimestre) in cui vanno convertiti in euro. Guadagna in compenso di più dalla minore instabilità cinese e dalla tenuta generale dei mercati globali.
Certamente
favoriti dal nuovo corso sono gli emergenti (bond, azioni e valute). La pressione crescente per un
cambiamento politico in Brasile e
Sud Africa concorre ad alimentare speranze legittime per una svolta anche strutturale del settore.
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