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Nel caso improbabile

Che legittimità può avere uno scenario positivo?

A ogni decollo, il personale di volo di Alitalia ci informa sul comportamento da tenere in caso di incidente. Nel caso improbabile, ci dice una voce registrata in italiano e in inglese, fate questo e quello. La voce è calma e la scelta dell'aggettivo “improbabile” è studiata per rassicurare ulteriormente i passeggeri e impostare con loro un discorso razionale. Siamo un vettore serio, è il messaggio sottointeso, controlliamo bene i nostri apparecchi e addestriamo bene i nostri piloti ma, come ebbe a dire una volta il segretario americano alla difesa Rumsfeld, “le cose spiacevoli accadono” (l'originale inglese è più colorito) e noi possiamo solo cercare di limitarne i danni.

La selezione naturale ci ha abituato a prestare sempre molta attenzione ai pericoli e alle insidie intorno a noi. Per quanto improbabili, gli eventi spiacevoli hanno una tenacia tutta loro. Ce la danno vinta una, dieci, mille volte, ma sui grandi numeri alla fine vincono loro. Ecco perché ci teniamo ombrellini nella borsa anche se non piove e comperiamo polizze di assicurazione su tutto quello che è assicurabile. Ecco perché il principio di precauzione ci fa correre dal medico anche in presenza di un sintomo probabilmente banale.

Resta però una evidente asimmetria. Mentre per le eventualità negative abbiamo piani di emergenza, magari solo abbozzati (tipo il pigiama da portarsi dietro in caso di ricovero improvviso in ospedale), non abbiamo un contingency plan in caso di grande vincita alla lotteria o di eredità improvvisa da uno zio d'America che non sapevamo nemmeno di avere. Eventi improbabili fin che si vuole, ma non impossibili.

(Nella foto: Equinix NY4. Da questo data center passano tutte le transazioni della borsa americana. Foto Payne per Bloomberg Markets)
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