Certo,
non è andata così bene alle banche europee, ma non ci sono state fughe di depositi e le crisi di insolvenza sono state estremamente circoscritte. Si è però capito che i problemi del settore sono o eredità del passato (multe e sofferenze) o la poca profittabilità per effetto dei tassi negativi. Le banche europee sono certamente ancora fragili e sottocapitalizzate ma non è vero che siano più fragili di un anno fa.
Meglio del previsto sembra andare anche
Brexit.
La Banca d’Inghilterra esclude una recessione, mentre le conseguenze sulla crescita dell’eurozona saranno limitate, secondo le stime della Bce, a uno o due punti decimali. In pratica, nessuno sta ancora mettendo in dubbio il fatto che la crescita europea sarà in questo 2016 più alta di quella del 2015.
Le politiche monetarie globali, in questi dodici mesi, sono state più espansive di quello che si prevedeva un anno fa (in Giappone, Europa, Cina e UK) e meno restrittive del temuto in America. L’inflazione è rimasta stabile in Europa ed è risalita in America (come auspicato dalla Fed e dai mercati).
I paesi emergenti, pur soffrendo ancora per effetto della fine del superciclo del credito (2009-2013) appaiono più stabili e solidi di un anno fa. Della Cina si è detto, ma miglioramenti sono evidenti anche in molti altri paesi. In particolare,
Brasile e Argentina hanno realizzato svolte politiche positive di grande portata. Le valute e le borse emergenti sono da qualche tempo oggetto di crescente interesse e il loro recupero ha ancora qualche spazio.
I mercati maturi presentano un andamento contrastato, con
l’America più forte di un anno fa ed Europa e Giappone più deboli. Il ribasso europeo è però dovuto a movimenti globali di capitali (forti afflussi fino a metà dell’anno scorso e deflussi altrettanto forti in seguito) e non a una discesa degli utili. Sul Giappone pesa la rivalutazione dello yen, non un indebolimento strutturale dell’economia.
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