Il risultato di queste stime per l'Italia ha portato a gap (divari) negativi, ossia, a livelli di reddito potenziale inferiori a quelli reali e, quindi, a giudizio dei governanti europei, avallano la politica dell'austerità che, biecamente, è stata tradotta in leggi che hanno implementato la flessibilità nell'utilizzo del lavoro.
Perché questo risultato? Perché il modello di base all'interno del quale si stima l'output gap è un modello esclusivamente di offerta (
supply side). Partendo dalla dotazione di fattori produttivi capitale e lavoro e dalla loro produttività osservata per il passato si stimano le probabili variazioni in aumento e/o in diminuzione della produttività dei fattori di lungo termine – inclusa quella discendente dall'invecchiamento della popolazione. A fronte della distruzione di capacità produttiva provocata dalla crisi, della stagnazione pluridecennale della produttività, dei continui tagli degli investimenti pubblici, alla crescita della disoccupazione strutturale arriviamo appunto al paradosso di un reddito potenziale inferiore a quello effettivo. Di conseguenza, c'è poco o niente da ottenere in termini di flessibilità e/o possibilità di gestire un deficit strutturale superiore allo zero. Da un punto di vista formale, paradossalmente, ha ragione la Commissione europea quando afferma che l'Italia tra il 2015 e il 2016 ha già goduto di deroghe per 19 miliardi e che ulteriori deroghe violano le regole.
Prima di passare alle proposte della Svimez vale la pena ricordare che il modello supply side è un modello monetarista che adottano le banche centrali per minimizzare possibili errori nella regolazione dell'offerta di moneta. Una sopravvalutazione dell'output gap in teoria potrebbe portare ad una eccessiva creazione di base monetaria e compromettere la stabilità dei prezzi. Non è questo il caso della politica monetaria della
BCE che è arrivata in ritardo di cinque anni con il quantitative easing e che ha tollerato – se non proprio voluto - un uso improprio della maggiore liquidità creata. Solo una parte del tutto insufficiente di essa ha raggiunto le imprese e le famiglie nei PM periferici e questo spiega la deflazione e/o l'incapacità di arrivare al
target prefissato di una inflazione al 2%.
Purtroppo il governo non solo ha utilizzato e intende utilizzare tutti i margini di flessibilità, per lo più, per spese correnti ma è già alla sua terza legge finanziaria e/o di bilancio e ancora non ha posto con la necessaria fermezza questo problema sul tavolo del Consiglio europeo.
Ad essere precisi il governo, nel febbraio scorso, ha mandato alla Commissione una specie di memorandum a firma del Ministro Padoan. In detto documento “
A shared policy strategy for growth, jobs and stability” si fanno tanti bei discorsi su cui molti possono convenire ma alla fine
mancano proposte operative sia per il breve che per il medio termine.
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