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Le agenzie di rating nel gioco della finanza tossica

"Chi controllerà i nostri controllori?" chiedeva Giovenale nelle "Satire", domanda da porsi anche in merito alle mitologiche agenzie di rating


Il contesto socio economico si è andato arricchendo, all'aumentare della globalizzazione, di problematiche sempre più interconnesse di vario carattere – religiose, politiche, sociali, ambientali, economiche -­- che hanno contribuito ad aumentare in modo esponenziale il numero delle variabili indipendenti; ciò ha reso estremamente difficoltosa la costruzione di modelli idonei a contenerle ed a prevedere il loro evolversi per l'alto ed imprevedibile livello di interdipendenza se ci si limita ai soli flussi di cassa della finanza a sua volta manipolabile.

In questo senso, le «agenzie di rating», oggi sotto accusa, dimostrano l'inadeguatezza dei loro modelli di analisi, perché pretendono di giudicare con l'unico metro della misurabilità realtà complesse e dinamiche come le società dell'uomo.

La finanza mitologica sta mostrando l'evidenza della sua strumentalità legittimata da un'accademia asservita a quegli interessi. I dati raccolti risultano assolutamente limitati per la complessità dell'oggetto di osservazione, ma vengono comunque considerati come assoluti. Il modello di riferimento culturale a cui abbiamo fatto cenno non accetta contraddittorio e quindi si finisce per subire una tirannia culturale infondata, ma comoda per coloro che ne traggono uno specifico vantaggio. Conseguentemente alla verità assunta come assoluta, i modelli di analisi finanziaria considerano irrilevante la capacità di tenuta dei membri di una società a fronte dei problemi economici, ma se la società è fondamento dell'economia, i loro modelli si rivelano antistorici perché non prendono in considerazione le strutture di regolazione di una società.

A parità di indicatori finanziari, a fronte di una situazione di crisi ha più tenuta una società con alta «uguaglianza» o una con alta «disuguaglianza» di reddito?

Ben BernankeLe valutazioni da loro emesse sulle società diventano solo montagne russe e non credibili in una logica di brevissimo tempo in cui ragionano perché le infinite scommesse finanziare danno la massima volatilità ai prezzi ed ai dati continuamente mutevoli.

Tutto è stato sostenuto e legittimato dai servizievoli guru dell'economia e dalle agenzie di rating. Dopo i drammi della finanza destabilizzatrice delle democrazie dei singoli stati, nonostante l'evidenza dei fatti, Robert Lucas, sempre lui, nell'assemblea dell'American Association nel 2003 dichiara: "Il problema principale di prevenire la depressione è stato risolto in tutte le sue implicazioni pratiche"; poi Ben Bernanke un anno dopo afferma: "La moderna politica macroeconomica ha risolto il problema del ciclo economico e l'ha ridotto ad un banale fastidio" e sempre lui, per non smentirsi nel marzo del 2007 (un anno prima della crisi) con un'intuizione profetica (!) al Congresso afferma: " In questo momento, tuttavia, pare probabile che l'impatto dei problemi dei sub-prime sull'economia generale e sui mercati finanziari sarà contenuto". Paulson nello stesso anno sosteneva: "Il mercato dei sub-prime non rappresenta un pericolo per l'economia nel suo insieme"; la stessa identica considerazione l'aveva fatta il venerabile Lucas nel 2007.

Infine il commentatore principe dei mercati finanziari, Donald Luskin, il giorno 14 settembre 2008, giorno antecedente la dichiarazione di fallimento della Lehman Brothers commentava sul" Washington Post" (!) non su un giornale qualsiasi che la situazione in generale e della stessa banca non presentava cause di depressione e che la crisi della grande depressione era ben lontana. Dick Cheney, che ha cavalcato tutto l'incavalcabile, nel 2009 pur di fronte all'evidenza dei fatti ribadiva che non sarebbe stato possibile prevedere quanto era successo. Infine Greenspan, mago Merlino della Finanza, aveva sempre sostenuto che l'avvento dei sub-prime era da considerarsi un fenomeno del tutto positivo per il funzionamento del libero mercato e la loro innovazione finanziaria vantaggiosa per i consumatori e comunque tale da giustificare una crescente deregulation che sarebbe stata temperata dalla razionalità dei mercati; ovviamente il "pacco regalo della finanza" al mondo era infiocchettato con i rating fintamente splendenti del nulla.

Come ricordato nel film "La grande scommessa", le agenzie di rating assegnavano la tripla A (AAA) il massimo della garanzia e dell'affidabilità a titoli e fondi dai nomi più strampalati ma rassicuranti ed esotici: "Scudo Totale, Protezione totale, Timberwolf (un supereroe)..." ma metà dei loro profitti venivano proprio da quelli ("Se non la diamo noi la tripla A la danno gli altri" la direttrice di S&P nel film citato).
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