Datemi abbastanza liquidità, ama dire Marc Faber, e vi porterò il Dow Jones a 100mila. In questi anni post-2008 la base monetaria, il grande mare su cui galleggiano tutti gli asset, finanziari e reali, è quadruplicata in rapporto al Pil dopo essere stata stabile nel mezzo secolo precedente. Come spiegano sempre le banche centrali al mercato, ossessionato dal volume dei flussi di ulteriore liquidità (l'entità mensile degli acquisti di
Quantitative easing), non sono tanto i flussi a essere decisivi quanto lo stock di base monetaria. Certo i flussi, mese dopo mese, alla fine diventano rilevanti anche per lo stock, ma è il livello assoluto di quest'ultimo a essere importante per i prezzi degli asset.
Dal 2009 a oggi lo stock globale di base monetaria è sempre cresciuto. Nel 2013 quello dell'eurozona scese di un trilione per i rimborsi non più rinnovati degli Ltro, ma Stati Uniti, Giappone e Regno Unito più che compensarono la discesa europea. Poi è stata l'America a ridurre e poi azzerare i suoi flussi di Qe (senza mai fare scendere lo stock) ma la potente riaccelerazione europea e il mantenimento dei flussi giapponesi hanno permesso allo stock globale di continuare a crescere di un trilione e mezzo l'anno.
A settembre, però,
la Bce annuncerà una riduzione dei suoi flussi e, in prospettiva, il loro azzeramento entro il 2019, se non prima. A fornire liquidità rimarrà solo il Giappone. Attenzione, però, perché la Fed, secondo
Goldman Sachs già alla fine di quest'anno, annuncerà un programma di graduale prosciugamento della sua base monetaria. Le pompe lavoreranno a quel punto come idrovore e non più come erogatori.
L'inizio del
Quantitative tightening sarà dolce e graduale e sarà coordinato con il
Qe giapponese in modo da non provocare un abbassamento della base monetaria globale. È però prevedibile che il punto di svolta verrà raggiunto nel 2018. Dal 2019 la liquidità globale dovrebbe iniziare a scendere lentamente.
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