Il
petrolio ha chiuso la settimana in rialzo dello 0,93% a 49,07 dollari, dopo aver superato i 50 USD. Ad alimentare gli acquisti il calo superiore alle attese delle scorte USA,
scese di 3,2 milioni nell'ultima settimana, ed i segnali di un
ridimensionamento dell’offerta mondiale. Alcuni blocchi produttivi in Nigeria causati da attacchi dei militanti hanno contribuito a mantenere alti i prezzi nonostante la
pressione dei realizzi.
Anche il
gas naturale è stato galvanizzato da positivi dati sulle scorte, cresciute meno delle attese di 65 BCF, rispetto ai 79 del consensus. Il
prezzo è volato così ai massimi degli ultimi nove mesi, concludendo a 2,556 dollari, in rialzo del 6,59% sulla settimana sulla
scommessa di un ridimensionamento dell’eccesso.
Il
grano ha chiuso in calo dello 0,45% a 495 cent per bushel, risentendo delle previsioni di un aumento del raccolto ai massimi degli ultimi 4 anni. L’ultimo report dell'
US Department of Agricolture ha stimato un raccolto di 2,077 miliardi di sacchi, al top dal 2013 ed ha rivisto al rialzo del 9% la stima sul grano invernale (hard red winter wheat).
Ottava in rally per l’
oro, che è salito del 2,69% a 1.273,4 dollari l’oncia, grazie al dollaro debole, che sconta un nuovo possibile rinvio del rialzo dei tassi USA da parte della
Fed; una convinzione che poggia sui persistenti segnali di debolezza dell’economia americana. A sostenere il metallo ha concorso poi la sua natura di bene rifugio, in risposta all'incertezza dei
mercati mondiali,
in attesa dell’esito del referendum sulla Brexit.
Il
rame ha chiuso la settimana in calo del 3,9% a 2,03 dollari la libbra, condizionato dai segnali di crisi dell’economia cinese, dove l’inflazione ha registrato una brusca frenata. Peggiora il quadro anche negli
Stati Uniti dove appare improbabile un’accelerazione della crescita nel secondo trimestre dell’anno.